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Stampa estera – Il commento

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    • 11 Giugno 2015
    • Giugno 2015
    • 11 Giugno 2015

    Non è solo questione di stile: l’Italia tra tecnologia e investimenti esteri
    Intervista a Gabriele Galateri di Genola

    Le cronache internazionali raccontano di un rinnovato interesse degli investitori verso l’Italia. Si tratta di un fenomeno molto positivo che tuttavia va guidato, con l’obiettivo di migliorare la competitività delle imprese nazionali e garantire un futuro alla manifattura e quindi alla ricerca. Questa l’opinione di Gabriele Galateri di Genola, Presidente delle Assicurazioni Generali e dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). Del resto quando – come in IIT – esistono infrastrutture e condizioni ottimali per lavorare,  l’Italia riesce ad attrarre non solo capitali, ma anche cervelli da tutto il mondo.

    Alta tecnologia, un tabù per l’Italia  o un possibile eccellenza?
    A un primo sguardo, l’Italia può sembrare conosciuta nel mondo più per le sue aziende del lusso, della moda, dell’agroalimentare, che per le sue produzioni di alta tecnologia. In realtà, fra gli addetti ai lavori, esiste una forte consapevolezza del fatto che il Paese abbia eccellenze tecnologiche e sappia produrre manufatti e servizi ad alto contenuto di innovazione. D’altra parte, il fatto che esista la cosiddetta “fuga dei cervelli”, vuol dire che l’Italia forma persone di valore in tanti campi della scienza.  L’importante è chiedersi cosa si può fare per fare emergere le tante eccellenze tecnologiche esistenti. Credo che IIT possa dare il proprio contributo: da un lato sviluppando ricerca di eccellenza, dall’altro trasferendo questa eccellenza verso una platea sempre più vasta di aziende grandi, medie e piccole, aiutandole ad essere competitive. Inoltre, non dobbiamo dimenticarci che se l’Italia proietta all’estero un certo tipo di immagine, questo è dovuto anche a molti errori di comunicazione. Gli stereotipi a volte nascondono una realtà diversa, che è quella migliore e che dobbiamo tutti impegnarci per fare emergere.

    Con strutture di eccellenza come IIT è possibile attrarre cervelli anche in Italia?
    Certo e due fatti lo provano: il 45% del personale di IIT viene da altri Paesi e il 16% di questa platea sono italiani che ritornano dall’estero. Questo vuol dire che quando ci sono proposte di livello competitivo, comparabili con offerte internazionali – e cioè un processo di carriera affidato a una vera valutazione del merito, un luogo di lavoro con strumentazioni adeguate, livelli retributivi comparabili con il resto del sistema – le persone scelgono l’Italia per lavorare. L’Italia, insomma, è attraente non solo per il turismo, ma anche a livello professionale. Certo, ci sono ancora elementi di criticità – penso a burocrazia e fiscalità  – ma il Paese ha molti punti di forza. E con le condizioni di sistema giuste, può essere una bellissima meta per scienziati e ricercatori.

    In un momento di ripresa degli investimenti in che modo aprirsi ai capitali stranieri senza perdere impianti industriali e posti di lavoro?
    In un mondo veramente globale è inutile pensare che si possano creare fortini o zone protette dove isolarsi dai flussi di capitale e di persone. La vera scelta sta nel decidere se  guidare questo processo o subirlo. Chi lo guida è felice che arrivino capitali stranieri, che investano nel Paese, che usino le competenze e le produzioni nazionali per espandersi su altri mercati. Tutto ciò richiede, però, che si possa rispondere agli investimenti esteri migliorando il livello di competitività dei prodotti. In questo modo chi viene a investire è incentivato a utilizzare al meglio le capacità esistenti – che all’Italia non mancano nel campo del design, dell’innovazione, delle produzioni artigianali – come base per lo sviluppo di nuovi mercati. Questi processi, tuttavia, possono anche essere subiti: se si accettano passivamente e non si fa niente per migliorare la qualità, l’attrattività e la competitività dei propri prodotti, il risultato è che l’investitore estero arriva, conquista quote di mercato ma finisce per andare a produrre fuori. E probabilmente alla fine trasferirà altrove anche la ricerca, perché la ricerca non può stare lontana dalla manifattura.

    Arrivano, dunque, nuovi investitori. Merito dello scenario macroeconomico favorevole o del miglioramento della percezione del Paese?
    Ritengo sia un insieme di questi due fattori. Mi sembra che l’Italia si trovi in una fase in cui vuole reagire alla contrazione del mercato e al calo degli investimenti degli ultimi anni. Oggi c’è la volontà di accettare capitali stranieri per lo sviluppo: per far questo, però, sono necessari sia un miglioramento dell’attrattività del Paese sia uno scenario internazionale favorevole. L’indebolimento dell’euro, insomma, incentiva gli investitori extra-europei; tuttavia perché l’investimento continui a crescere sono necessari alcuni progressi, in particolare nel campo delle riforme. Alcune di queste sono state avviate e realizzate, altre mi auguro diventino efficaci al più presto. Del resto,  se le riforme proseguono non c’è motivo al mondo per cui l’Italia non debba ottenere un livello di investimento, da parte degli operatori internazionali, paragonabile a quello degli altri grandi Paesi europei.