La cultura è un punto di forza dell’Italia, ma per aumentarne la rilevanza, anche economica, è necessario attrarre nuovi cervelli e nuove energie. Per questo, spiega Paolo Tortonese – professore di letteratura francese alla Sorbonne Nouvelle Paris 3, e membro della comunità dei “Talenti italiani all’estero” di Aspen – bisogna aprire il sistema universitario nazionale al mondo, facendo diventare la lingua italiana non un freno, ma un elemento di attrazione.
L’industria culturale in Italia continua ad essere in ritardo rispetto al resto d’Europa. Quali sono i punti di forza e quali quelli di debolezza del sistema italiano?
L’industria culturale non è un fenomeno di facile misurazione. Certo, dal punto di vista dell’offerta di beni artistici e culturali l’Italia può contare su un patrimonio straordinario che andrebbe gestito meglio. D’altro lato i consumi culturali degli italiani sembrano ancora inferiori rispetto agli altri paesi, soprattutto per quanto riguarda l’editoria. Non credo la colpa sia da attribuire al sistema scolastico. Per collegarmi alla mia esperienza, ritengo per esempio che l’insegnamento della letteratura in Francia non sia affatto migliore che in Italia. Anzi sono convinto che la preparazione in campo umanistico da noi sia più forte. Bisogna però valorizzare questa ricchezza e attrarre anche dall’estero persone capaci e interessate a mantenerla.
La Francia è un paese da cui prendere esempio nella promozione della cultura?
Senza dubbio la Francia ha fatto straordinari investimenti in campo museale, il che ha dato ottimi riscontri in termini turistici ed economici. I musei sono molto presenti nella vita dei francesi. Certo, si tratta di un modello difficile da replicare in Italia, perché molto concentrato sulla capitale, Parigi. Il sistema universitario, invece, è in forte difficoltà. Lo Stato francese ha investito poco sull’università e per rendersene conto basta guardare alla spesa media per studente, inferiore ai livelli medi dell’OCSE. Inoltre la distinzione fra università e grandi scuole, dove si formano le élite francesi, ma non si fa ricerca, non fa altro che separare i buoni studenti dai buoni professori creando una distorsione nel sistema formativo.
Quale ricetta, quindi, per attrarre cervelli in Italia?
Un primo problema riguarda la selezione dei docenti e dei ricercatori. In Italia, sia nella scuola sia nell’università, ha sempre prevalso un sistema “a ondate”, che ha favorito un gran numero di ingressi in un determinato momento per poi chiudere le porte del reclutamento durante lunghi periodi. Questi alti e bassi sono stati deleteri. Il sistema francese in questo è più intelligente con reclutamento di docenti più regolare: i concorsi si fanno tutti gli anni.
Un altro punto riguarda gli investimenti per trattenere i ricercatori italiani e per attrarne di stranieri. È banale, ma ci vogliono più borse di studio per i dottorati e i post-dottorati. Anzi forse è proprio necessario creare dei dottorati speciali per stranieri. Non manca, infine, anche un problema burocratico: gli studenti e i ricercatori stranieri vanno laddove riescono a studiare e lavorare facilmente. E in Italia spesso le condizioni materiali di lavoro non sono buone.
L’internazionalizzazione del sistema formativo italiano ne migliorerebbe l’attrattività?
Certamente, e ritengo che un metodo efficace per facilitare gli scambi accademici fra Italia ed estero sia quello del double appointment. Si tratta di promuovere la possibilità, per docenti che già insegnano in altri paesi, di insegnare anche in Italia. Non credo, invece, che la strada per l’internazionalizzazione del sistema italiano passi per l’adozione della lingua inglese nelle nostre università. E questo riguarda soprattutto gli studi umanistici in cui il sistema italiano è forte: nessuno straniero verrebbe in Italia a studiare Dante in inglese. Dobbiamo al contrario difendere il fatto che la cultura si possa e si debba fare in diverse lingue. Cioè diffondere il multilinguismo fin dalla scuola elementare. L’italiano, non dimentichiamolo, ha la sua importanza: pur essendo la lingua di un paese relativamente piccolo, è la quinta più studiata al mondo. Credo che solo difendendo e promuovendo la nostra lingua si difenda e si promuova anche la cultura italiana.