Nel mondo della fisica, Gelsomina De Stasio è conosciuta con l’acronimo che utilizza per firmare i suoi studi, P.U.P.A. Gilbert. Vincitrice di numerosi premi, cavaliere della Repubblica, e introduttrice della microscopia a luce di sincrotrone in biofisica, questo membro della comunità “I protagonisti italiani all’estero” di Aspen Institute Italia è strenua sostenitrice della meritocrazia: solo così, afferma, si possono far ritornare i cervelli in fuga.
Cosa l’ha spinta a fare ricerca all’estero?
Dopo la laurea in fisica a Roma, nel 1987, e aver lavorato come ricercatrice al CNR dal 1988 al 2000 e alla Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna dal 1994 al 1998, mi sono trasferita negli Stati Uniti come full professor of physics all’Università del Wisconsin, a Madison. La scelta di andarmene è stata una scelta di ambizione scientifica: volevo fare esperimenti difficili, costosi, e molto soddisfacenti. Volevo fare ricerca fondamentale, al massimo livello.
Quali implicazioni ha questo tipo di ricerca rispetto a quella applicata, generalmente più nota al pubblico?
Mi occupo dei meccanismi di formazione dei biominerali, studio i fondamenti della formazione di tessuti rigidi formati da organismi viventi come, per esempio, conchiglie, coralli denti, ossa. La ricerca fondamentale ha implicazioni importanti per la tecnologia; pensiamo ai laser, gli orologi atomici, i transistor, internet: sono venuti fuori dalla ricerca fondamentale e non da ricerca applicata. Sono convinta che gli scienziati debbano essere liberi da vincoli di applicazioni immediate, altrimenti non possono creare niente di nuovo: al laser per le operazioni oftalmologiche non si è giunti perché un gruppo di oftalmologi ha cercato di creare lo strumento migliore per questo scopo, ma sono stati i fisici atomici a inventare il laser. Solo successivamente si è arrivati a questa particolare applicazione. Lo stesso per gli orologi atomici, che adesso sono alla base dei mercati azionari in tutto il mondo, la comunicazione satellitare, il global positioning system (GPS) che abbiamo sul cellulare. Senza ricerca di base non ci sarebbe progresso. Il fatto che né il pubblico né le agenzie di finanziamento vedano l’applicazione immediata della nostra ricerca non può e non deve essere un impedimento.
In ambito scientifico cosa accomuna gli italiani, dal suo punto di vista?
Sicuramente gli italiani si adattano e sanno arrangiarsi in ogni situazione: non importa quanto sia difficile sopravvivere, si sopravvive sempre. È questo spirito di adattamento e iniziativa personale a caratterizzarli.
Cosa potrebbe dare nuovo slancio alla ricerca scientifica nel nostro Paese?
Secondo me è una questione di soldi: se si potesse aumentare l’entità e riorganizzare la struttura dei finanziamenti in Italia avremmo risolto il problema. Se i finanziamenti fossero concessi basandosi unicamente su criteri di merito, molti di noi tornerebbero volentieri. Ultimamente è diventato facilissimo vedere chi è bravo e chi non lo è, con criteri puramente quantitativi. Basta vedere quante citazioni in letteratura hanno gli studiosi: il numero di pubblicazioni non è un indicatore valido. Le pubblicazioni buone sono definite tali da chi legge e cita, da un sistema cioè democratico: se la ricerca è buona, viene citata da molti. Anche le posizioni dovrebbero essere assegnate con criteri di merito obiettivi.