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Grandi e di valore: così vorrei le aziende di successo IT. Intervista ad Alberto Sangiovanni-Vincentelli

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    • 13 Luglio 2015
    • Luglio 2015
    • 13 Luglio 2015

    L’Italia ha grandi eccellenze, anche nell’Information Technology, ma deve rafforzare un ecosistema industriale che faccia prosperare queste competenze, creando innovazione, prodotti e posti di lavoro. Per creare una massa critica nell’IT la strategia più efficace passa dalla crescita dimensionale delle aziende italiane, dal sostegno alle start-up e alla imprenditorialità dei giovani. Lo sostiene Alberto Sangiovanni Vincentelli, professore di Computer Science a Berkeley, ma anche imprenditore e Presidente del Comitato Strategico del Fondo Strategico Italiano.

    L’Italia e  l’Information Technology, una partita ormai persa?   
    L’IT è un ambito vastissimo e ci sono sicuramente settori in cui l’Italia fa ricerca di avanguardia: penso ad esempio all’informatica teoretica in cui esistono valenti centri di ricerca italiani che lavorano sulla teoria degli algoritmi, sulla semantica e sulla teoria della complessità. Si tratta di una disciplina che confina con la matematica e riguarda la base teorica che sostiene le applicazioni. Per altri aspetti, come l’architettura dei calcolatori, la sicurezza, la ricerca di informazioni sul web,  invece, l’Italia non sembra al momento in grado di competere con altri Paesi.

    La debolezza italiana, soprattutto nella ricerca applicata, si deve alla mancanza di un ecosistema robusto che sostenga la ricerca ed in particolare alla carenza di imprese di grandi dimensioni che sono sempre state, nella storia dell’IT, il vero motore dell’innovazione. Si pensi al ruolo dei Bell Labs, di IBM e di Xerox PARC. Del resto l’Italia sta perdendo alcuni suoi grandi gruppi industriali, senza crearne dei nuovi e questo processo innesca, inevitabilmente, anche una riduzione degli investimenti in innovazione e ricerca.

    Se l’industria è in crisi, quale può essere il ruolo dei servizi?
    Possono avere un ruolo nel creare una domanda che stimola la crescita delle imprese italiane dell’IT. Nella mia esperienza vedo segnali di interesse: ci sono, in particolare, gruppi assicurativi e bancari che guardano con attenzione al mondo dei big data e dell’analisi semantica dei testi per migliorare la gestione e i servizi alla clientela. Del resto in Italia abbiamo aziende che sono punte di diamante in questi campi, come Expert System, una delle migliori al mondo nell’analisi semantica, e Hacking Team, eccellenza nel campo della sicurezza attiva dei software. Sono imprese di piccole/medie dimensioni, ma che hanno ottime prospettive di crescita.

    Diventare più grandi è, dunque, il fattore determinante su cui investire?
    Senza dubbio. Del resto ho accettato con piacere di essere Presidente del Comitato Strategico del Fondo Strategico Italiano, proprio perché questa iniziativa è nata per aggregare e rendere più forti le medie aziende italiane di eccellenza. Per statuto il fondo guarda solo ad aziende in utile, con fatturato oltre i 200 milioni e punta ad investire entrando nella compagine azionaria con quote di minoranza e attraverso aumenti di capitale, con l’obiettivo di sostenere nuove iniziative per la crescita. Tutte queste azioni vanno ad affrontare quella che vedo come la mancanza principale dell’ecosistema italiano: l’assenza di grandi imprese e di imprese che crescono e creano ricambio nell’industria, generando al contempo posti di lavoro.

    Come valuta le start up italiane? Cosa potrebbe aiutarne la crescita? Credo che anche in Italia sia in atto un cambiamento, con un numero crescente di giovani che guardano alla possibilità di fare partire il loro business. Certo, il mercato italiano delle start-up è ancora minuscolo e prima di affermarsi deve dimostrare di poter produrre storie di successo. Un obiettivo non facile vista la cruda realtà delle statistiche del settore che – anche in California – vedono sopravvivere una azienda neo-nata su dieci, e un caso di successo ogni 100. Per quanto riguarda la formazione, anche se il sistema italiano è stato storicamente incentrato sullo studio delle materie umanistiche, questo in sé non è un problema (per mia esperienza personale come ex-alunno del Liceo Classico Manzoni di Milano, non ho avuto difficoltà negli studi di ingegneria al Politecnico di Milano). Quello che importa non è necessariamente cosa si studia nei licei, ma come si studia. Il rigore degli studi, che purtroppo si sta perdendo, mette le basi perché i giovani acquisiscano un metodo di studio efficace per affrontare le fasi successive dello studio e della ricerca.

     Alberto Sangiovanni Vincentelli insegna all’Università della California a Berkeley dal 1976, dove detiene la cattedra di Electrical Engineering and Computer Sciences. È stato uno dei fondatori di Cadence e Synopsys, imprese leader nel campo dell’Electronic Design Automation (EDA). È membro di diversi board in Europa e negli Stati Uniti. In Italia è Presidente del Consiglio Strategico del Fondo Strategico Italiano e del Comitato Nazionale dei Garanti per la Ricerca nominato dal Ministero della Istruzione, Università e Ricerca, oltre che componente sia del Consiglio Scientifico del CNR sia del Consiglio Esecutivo dell’Istituto Italiano di Tecnologia.