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Diamo al turista l’Italia che sogna. Intervista a Giuseppe Marzano

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    • 21 Ottobre 2013
    • Ottobre 2013
    • 21 Ottobre 2013

    Esperto in sviluppo regionale e strategie di posizionamento di Paesi e città, Giuseppe Marzano è preside della Graduate School della Universidad de Las Américas a Quito in Ecuador. Nel mese di maggio 2012 il presidente Napolitano gli ha conferito l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia.

    Il turista, spiega Giuseppe Marzano “è un animale complicato”. Per questo, più che “esperti di turismo”, all’Italia servono veri e propri “commerciali”, capaci di confezionare e vendere all’estero le tante destinazioni offerte del nostro Paese. Per Marzano questo percorso deve cominciare da una politica d’immagine coerente dell’Italia, aiutata magari da una maggiore consapevolezza degli stessi italiani verso le bellezze del proprio territorio.

    L’Italia da tempo è scesa dal podio dei tre Paesi più visitati al mondo. Perché?
    L’Italia soffre di una disgrazia simile a quella dei paesi petroliferi: con un patrimonio monumentale così smisurato ci siamo seduti su una rendita e siamo diventati meno creativi. Il problema, però, è che oggi non possiamo pensare le proposte turistiche come se esistesse ancora il Grand Tour. Le offerte vanno pensate per i turisti di oggi, che, come consumatori, sono figure in continuo cambiamento. Serve, insomma, un marketing del turismo e del territorio. Faccio l’esempio di un Paese che conosco bene e che è considerato un caso di successo nella promozione turistica: l’Australia che ha buone risorse naturali, ma quando si vedono folle di turisti intorno a un grande sasso, come l’Ayers Rock, si capisce che è il marketing a fare la differenza. “L’energia che arriva dal sasso” – quella che un turista una volta mi ha confessato di sentire – non è che una grande trovata di marketing. Insomma per attrarre i turisti, così come per attrarre i consumatori, ci vogliono prodotti nuovi. E il punto da cui partire è trasformare la realtá fisica in una emozione.

    Certo le  emozioni, frutto anche di grandi eventi. Che ruolo può avere l’Expo nel rilanciare il turismo italiano?
    Il grande evento in realtà è solo una vetrina, qualcosa che non si può non fare bene. Ma se Expo 2015 metterà Milano e l’Italia davanti agli occhi del mondo, bisognerà approfittare di questa manifestazione per far conoscere il resto del Paese. L’Expo, insomma, deve essere una porta di entrata per il sistema turistico italiano e per aprire questa porta ci vuole uno strategic alignment di tutte le istituzioni coinvolte.
    C’è bisogno di persone che abbiamo una capacità commerciale pari a quella dei direttori di tour operator, affiancata alla conoscenza necessaria alla creazione di politiche pubbliche. Gli esperti accademici di turismo non servono a questo scopo: ci vogliono commerciali che sotto la guida di una politica strategica – e certo anche con l’appoggio culturale dell’accademia – riescano a promuovere il “prodotto Italia”.

    Da dove cominciare, allora, per vendere meglio il “prodotto Italia”?
    Iniziamo con il dire che il problema dell’Italia è che non si è mai sentita la necessità di dare un’immagine coerente al Paese. Più che di turismo, infatti, dovremmo iniziare a parlare di strategia commerciale e di comunicazione per promuovere l’”immagine-Italia”.
    Per creare un’immagine positiva di qualsiasi destinazione bisogna partire dalle persone che ci vivono. Un caso di studio è quello della Colombia che prima ha investito sulla consapevolezza e sull’orgoglio dei propri cittadini e ora è uno dei paesi più visitati della regione, anche grazie a slogan efficaci come “Colombia, l’unico pericolo è che tu voglia rimanere”.
    Se vogliamo cambiare l’immagine dell’Italia, insomma, guardiamo prima a noi, smettendo magari di auto-denigrarci, e parliamo al mondo, consapevoli della nostra forza e delle nostre bellezze. Certo, per fare questo, serve una direzione strategica di lungo periodo, un percorso che sia condiviso da tutti. Sarebbe l’occasione per eliminare una  politica turistica che, troppo spesso, è ancora figlia delle pro-loco e lasciare che i territori dicano la loro, seppur inseriti in un quadro strategico coerente con l’immagine del Paese.

    Inserire, dunque, in un’unica strategia territori tanto diversi. Con quali vantaggi?
    I turisti hanno un grave  difetto: dispongono di poco, pochissimo tempo. E i giorni a disposizione dei visitatori, con gli anni, sono diventati ancora di meno.  L’Italia però ha un grande antidoto, e cioè territori che in pochissimi chilometri racchiudono tutto: mare, collina, montagne, bellezze artistiche e manifattura d’eccellenza. Il turista, non dimentichiamolo, è un animale molto problematico e molto difficile da controllare: vuole un’offerta molto variegata e vuole delle esperienze nuove. La varietà del paesaggio italiano è, quindi, una base molto solida da cui partire.
    Certo, ci sono luoghi che sono più fragili di altri e per questo sono maggiormente esposti ai rischi di un turismo di massa. A me piace moltissimo la gestione dei posti fragili attraverso sistemi tariffari. Pensiamo a Venezia: introdurre una tariffa d’ingresso sarebbe un esperimento relativamente facile vista la conformazione della città. Perché un turista che spende 80 dollari per andare a Disneyland non dovrebbe essere disposto a pagare per vedere Venezia, contribuendo a creare risorse che siano investite nel marketing e nella conservazione della laguna? Questo è importante per attrarre visitatori più attenti e interessati al luogo eliminando, invece, quello che definirei “turismo da giardino zoologico”: vale a dire quel turismo in cui il visitatore non ha nessuna interazione con la città. Un grave errore: far sì che i turisti interagiscano con le città, infatti, comporterà poi una serie di notevoli vantaggi anche per le economie locali.