L’Italia ha bisogno di una scossa che non solo rilanci l’economia, ma riesca anche ridare fiducia ai cittadini. Non solo nuove tecnologie, ma anche un nuovo senso civico. Come spiega al sito di Aspen Ferdinando Beccalli-Falco – ai vertici di un colosso come GE che investe sulla tecnologia italiana – ad innescare questo cambiamento sono chiamate anche le aziende, in particolari i grandi gruppi.
L’Italia perde capacità produttiva. Saranno allora le multinazionali straniere a salvare la tecnologia made in Italy?
Quando nel 2012 abbiamo acquisito Avio dai fondi di private equity, abbiamo visto un’ottima azienda con una tecnologia fantastica per i componenti dei motori degli aeroplani. Questo ci ha portato a investire un miliardo di dollari nell’arco di cinque anni. Un investimento del genere, certo, lo può fare qualunque gruppo – italiano o straniero – l’importante però è che sia di grandi dimensioni. In ambito tecnologico, infatti, le piccole e medie imprese difficilmente riescono a superare una certa soglia di sviluppo. E questo perché l’innovazione generalmente è un percorso costellato di errori.
Faccio un esempio: al momento il miglior motore di aeroplano sul mercato si chiama GE 90, quello che, per intenderci, equipaggia i Boeing 777. Si tratta di un motore che all’inizio ha avuto molti problemi, ma che GE è riuscita a trasformare in un ottimo prodotto. Lo ha potuto fare, però, solo grazie alle risorse, finanziarie e di tempo, legate al suo enorme volano economico. Una piccola o media impresa, invece, rischia moltissimo ad ogni errore e deve essere molto più cauta nello sviluppo della tecnologia, rallentando inevitabilmente il processo di innovazione. È per questo che, nell’economia di una nazione, ci vuole un mix fra grandi, medie e piccole imprese.
Quali i passi successivi?
In Italia si devono fare così tante cose che non credo importi realmente l’ordine di inizio. L’importante, a mio avviso, è intraprendere un percorso di cambiamento e seguirlo fino in fondo. Sono dieci anni che l’economia italiana è piatta, quindi bisogna andare ad affrontare problemi che hanno radici ancora più profonde. Certo, è evidente che un Governo non può cambiare nel giro di pochissimi mesi una situazione che è ferma da decenni. Anche per questo, a differenza di quanto è successo negli ultimi anni, bisogna dare ai Governi il tempo di agire. Nonostante tutto, però, abbiamo un punto di forza da cui partire: la grande capacità degli italiani di risollevarsi.
Riforme da fare: esiste un modello italiano?
Non credo sia necessario inventarsi un modello italiano: per cambiare le cose basterebbe prendere spunto, e mettere in atto, le tante idee che ci sono nel mondo. Non è così difficile. Basta guardare, ad esempio, al Messico, un Paese che in 18 mesi è riuscito a trasformare una situazione di stallo in uno dei successi economici più importanti dell’America Latina. Determinanti in questo processo sono state le riforme, iniziando da quella dell’energia che era fondamentale per il Paese. Certo, non possiamo pensare che il Messico sia l’unico modello a cui guardare per un Paese sviluppato come l’Italia. Eppure è la dimostrazione di come si possa trasformare in poco tempo un’economia malata in un caso di successo. Non dimentichiamoci, infatti, che il problema dell’Italia va al di là della recessione: se anche riusciamo a crescere, ma lo facciamo meno di altri Paesi, perdiamo comunque terreno.
Su cosa puntare per centrare l’obiettivo?
Secondo me la chiave del successo è il consenso civico che si riesce a raccogliere intorno a un determinato modello economico e sociale. Pensiamo al mercato del lavoro, di questi tempi al centro del dibattito politico italiano. Nella mia carriera professionale ho visto diversi modelli in azione: quello americano è estremamente flessibile, mentre quello giapponese è molto rigido. In uno come nell’altro ci sono vantaggi e svantaggi, così come nel modello tedesco che pure ha dimostrato di saper funzionare grazie alla cooperazione tra parti sociali e azionisti. In ogni caso si tratta di modelli che funzionano perché sono riusciti a raccogliere intorno a sé un certo livello di consenso. Questo è il passo critico da compiere in Italia. Solo con un nuovo senso civico condiviso, del resto, si può combattere il livello di corruzione endemico che esiste da noi. E ridurre la corruzione non solo libererebbe enormi risorse, ma ci aiuterebbe anche ad attrarre quegli investitori internazionali che sono fondamentali per far crescere la nostra economia.
Ferdinando Beccalli-Falco è Presidente e Amministratore Delegato di GE Europa, e Amministratore Delegato di GE Germania dal gennaio 2011. In questi mercati è responsabile delle strategie di crescita di GE, dall’espansione e rafforzamento dei rapporti con i clienti e le istituzioni, allo sviluppo di nuovi business.