Inserire DNA nei microchip per ottenere tecnologie capaci di gestire grandi quantità di informazioni e interagire con il corpo umano. La bioinformatica è una delle frontiere della ricerca biotech con applicazioni che vanno dalle telecomunicazioni alla diagnostica. Roberto Crea, ricercatore fra i padri dell’insulina sintetica, oltre che fondatore di diverse start-up biotecnologiche in Silicon Valley e in Italia, racconta al sito di Aspen la sua nuova avventura con Protelix e le prospettive di questo settore.
Cosa significa lavorare sull’uso di una tecnologia proprietaria per la mutagenesi del DNA?
Il DNA ha la capacità di autoassemblarsi e offre la possibilità di creare polimeri che possono fungere da semiconduttori. In questo campo ci sono diverse ricerche attive in tutto il mondo: noi, come piccola start-up, puntiamo a sfruttare un principio interessante del DNA che è la capacita di utilizzare delle sequenze palindromiche (con molecole cioè che riconoscono se stesse e quindi capaci di legarsi) per autoassemblarsi. In questo campo abbiamo scoperto una legge che riteniamo molto importante: se si mettono due sequenze palindromiche una accanto all’altra, è sufficiente disegnare una molecola e poi questa si completa da sola, formando automaticamente dei polimeri.
Quali sono le possibili applicazioni di questa tecnologia?
Questi filamenti potrebbero sostituire il silicio nei biochip con applicazioni fra le più svariate, dai telefoni ai computer; infatti le ultime scoperte ci permettono non solo di ridurre le dimensioni dei chip, ma anche di aumentare la loro capacità di conservare o trasmettere informazioni. Non dobbiamo dimenticare, poi, le applicazioni nella diagnostica e nella terapeutica: questi polimeri potrebbero essere modificati per la somministrazione di medicine oppure per il riconoscimento di sequenze ben specifiche del DNA umano. Il DNA, del resto, è una molecola naturale ed è possibile produrre sequenze che siano introdotte nell’organismo umano senza provocare danni immunologici. Già oggi il DNA è utilizzato per scoprire malattie di origine genetica e per l’elaborazione di vaccini. La sfida che oggi l’industria affronta è quella della produzione di massa.
Come valuta lo stato recente della ricerca, lei che è stato fra i padri dell’insulina sintetica?
Le ricerche da cui è partita la rivoluzione biotech sono iniziate quasi 40 anni fa in Silicon Valley: personalmente, in Genentech, ho avuto la fortuna di essere uno dei primi a sintetizzare DNA in laboratorio, partecipando a quella che negli anni Settanta sembrava un’operazione impossibile: la sintesi del gene dell’insulina da 29 frammenti. Oggi la ricerca ci permette di partire da una piccola molecola per formare filamenti che possono arrivare a grandezze notevoli: questo è importante perché nel processo di microfabbricazione è essenziale ridurre al minimo il numero degli elementi che vanno poi a costituire il prodotto finale. Così diventa più semplice produrre in laboratorio e poi controllare le proprietà di queste sequenze, con l’obiettivo di favorire il passaggio degli elettroni lungo la catena del DNA.
Ha fondato una start up in Italia di cui è anche CEO. Come considera lo stato della ricerca biotech nel nostro Paese?
Studi sul DNA esistono a livello universitario e sono molteplici, con una copertura completa dei diversi aspetti di questa disciplina. Il problema dell’Italia rimane quello dell’applicazione della ricerca e del collegamento con l’industria. In California orientiamo le ricerche verso le necessità che vengono poste dalle aziende e arriviamo ad applicazioni di portata notevole. Quello italiano non è solo un problema dell’università: se ci fosse un’industria capace di porre domande tecnologiche importanti probabilmente i ricercatori italiani sarebbero ben felici di raccogliere la sfida. Qualcosa invece sta cambiando dal punto di vista delle start-up, dove credo ci sia una situazione più favorevole che in passato: tre anni fa ho contribuito alla creazione di CreaAgri, in provincia di Firenze, e devo dire che il sostegno finanziario delle istituzioni locali è stato ottimo. Il passo ulteriore da compiere è eliminare le difficoltà normative e infrastrutturali che ancora esistono. Solo così si può permettere a una start-up di avere spazio per dedicarsi appieno alla ricerca, senza dover pensare troppo agli adempimenti burocratici.
Roberto Crea da decenni è attivo nella ricerca biomedica negli Stati Uniti, dove ha contribuito nel 1977 all’invenzione dell’insulina sintetica. Dopo aver fondato diverse start-up oggi è presidente e CEO di ProtElix (azienda biotech focalizzata sull’uso di una tecnologia proprietaria per la mutagenesi del DNA) e di CreAgri (che ha sviluppato tecnologie e prodotti nel campo dei polifenoli naturali antiossidanti derivati dalle olive, con impieghi nei settori farmaceutico, cosmetico ed alimentare).