Vai al contenuto

Patto di Stabilità e Crescita, la prospettiva per l’Italia nella nuova UE

  • Milano
  • 4 Dicembre 2024

        Il progetto europeo si è sviluppato, fin dagli inizi, sulla base di due visioni diverse ma complementari: da un lato, l’idea di un’Europa geopolitica che condivide valori e, in una certa misura, priorità politiche; dall’altra, la prospettiva di costruire un percorso comune per assicurare la stabilità economica e favorire la crescita dell’area. Per l’Europa, l’ambizione di realizzare l’integrazione economica e monetaria si trasforma da aspirazione in necessità con la fine degli accordi di Bretton Woods, nel 1971. Si rende infatti indispensabile attivare nuovi meccanismi di stabilità: prima attraverso il cosiddetto “serpente monetario”, poi con il Sistema Monetario Europeo, fino ad arrivare al Trattato di Maastricht e, nel 1999, al Patto di Stabilità e Crescita e all’adozione della moneta unica.

        Da allora, la situazione del continente è diventata molto più complessa, soprattutto a causa del costante rallentamento economico. Inoltre, per rispondere alle crisi che si sono succedute dal 2008 in avanti, l’eurozona ha scelto di imboccare la strada dell’austerità, prediligendo la stabilità finanziaria a scapito della crescita: i parametri introdotti dal Trattato di Maastricht per garantire la solidità del sistema – le soglie del 3% per il deficit e del 60% per il rapporto tra debito pubblico e PIL – hanno difatti imposto riduzioni della spesa pubblica nei periodi di rallentamento, producendo ulteriori deterioramenti dei dati macroeconomici. 

        Nei periodi di crisi, la proclicità delle regole comunitarie ha indotto alcuni Paesi a sollecitarne la revisione per renderle più coerenti rispetto ai propri interessi, conservando tuttavia la struttura di base e le soglie definite dai parametri di Maastricht, nonostante tali criteri non siano di per sé garanzia di solidità economica e sostenibilità del debito. Molto più indicative, in tal senso, sono infatti l’affidabilità della struttura politica e la gestione unitaria dell’economia. Le regole fiscali proposte dal nuovo Patto sono state quindi pensate per andare in questa direzione, aiutando i Paesi che ne difettano a guadagnare credibilità. Nella valutazione del nuovo Patto, occorrerà innanzitutto capire se le nuove regole fiscali sono efficaci, applicabili, e coerenti con il sistema in cui sono applicate – e quindi esse stesse credibili. In aggiunta a ciò, si dovrà misurarne la capacità di ridurre la prociclicità del sistema. Sotto questo punto di vista, si può già affermare che sono stati introdotti alcuni aspetti migliorativi, ma resta comunque da sciogliere il nodo della lunghezza dei tempi di applicazione, che potrebbe ritardare l’attivazione degli strumenti di correzione in fasi sbagliate del ciclo, con il rischio che il meccanismo resti ancora prociclico.

        Per i Paesi come l’Italia, il nuovo Patto rappresenta un’opportunità di ridurre il debito e tornare a crescere, a condizione che venga attuato un piano di azioni decise e politicamente complesse: contenimento della spesa pensionistica, incremento della tassazione che non incida negativamente sulla crescita economica, spending review. In questo contesto sarà fondamentale riuscire anche a portare avanti e completare riforme strutturali che spaziano dalla pubblica amministrazione al sistema giudiziario, dal mercato del lavoro all’istruzione.

        Infine, un elemento chiave è dato dagli investimenti. Bisogna infatti prendere atto che – nel quadro economico, sociale e politico globale – l’Unione Europea si trova in una posizione di dipendenza strategica, rispetto a Stati Uniti e Cina, sotto vari aspetti: tecnologico, militare e commerciale. Per tornare a essere competitiva e avere un futuro, l’UE deve interrogarsi sulle priorità e i settori strategici su cui allocare le proprie risorse. Le regole possono fare la differenza per assicurare che gli investimenti diano i ritorni attesi: in questo senso, sarebbe opportuno non solo definire con maggior chiarezza la distinzione tra spesa corrente e spesa per investimenti, ma anche rivedere le modalità autorizzative per quegli investimenti che hanno la capacità di innescare cicli produttivi virtuosi. Tra questi, andranno sostenuti in particolare i progetti transnazionali europei – iniziative in cui non solo i finanziamenti e la governance coinvolgono più Paesi – che siano in grado di stimolare o migliorare l’economia non di un solo Stato, ma di una pluralità di Stati. 

        Una valutazione sensata delle nuove regole potrà essere fatta solo tra qualche anno. Tuttavia, un elemento positivo emerso nelle negoziazioni è che, per la prima volta nella storia dell’Unione Europea, c’è consapevolezza condivisa sulla necessità di pensare fin da subito alla prossima crisi, piuttosto che attendere che accada per correre poi ai ripari.