Il numero 100 di Aspenia ha adottato un punto di vista composito per affrontare il tema-Italia: a partire dagli italiani – in quanto cittadini/elettori, individui e gruppi, produttori e consumatori – per analizzare le istituzioni che li accomunano, e arrivare al Sistema-Paese nel suo complesso anche nella propria proiezione internazionale. In Italia aleggia una certa insicurezza di fondo, per un Paese di chiaroscuri con importanti eccellenze, ma anche punti deboli strutturali.
Per cominciare, vi è un’insicurezza storica e antica che riguarda la collocazione internazionale del Paese. Ai tempi del Risorgimento, Cavour era consapevole che si trattasse di un Paese di “second’ordine” – anche perché ancora non si sapeva se davvero l’unificazione sarebbe avvenuta e fin dove sarebbe arrivata. L’intuizione straordinaria di quella leadership fu comunque di inserire da subito attivamente il futuro Stato italiano in un contesto europeo, contribuendo ad obiettivi condivisi con altre potenze importanti e acquisendo un certo grado di prestigio e credibilità.
In una fase successiva e diversa, l’Italia ha fatto altri passi in avanti seguendo in qualche modo la stessa intuizione e un metodo simile: De Gasperi fece – nelle condizioni difficilissime dell’immediato dopoguerra – la scelta dell’atlantismo, cioè soprattutto un ancoraggio inscindibile agli Stati Uniti, in chiave economica e di sicurezza ma anche politica e culturale. E fece, parallelamente la scelta dell’europeismo multilaterale, attraverso la partecipazione alla fondazione dell’OECE e della CEE. Conoscendo la storia economica italiana, De Gasperi era cosciente delle necessità strutturali italiane: capitali esteri, materie prime, e processi internazionali guidati da istituzioni politiche – e non soltanto dal mercato.
Da allora, l‘Italia non può dirsi una potenza di prim’ordine, in un’Europa dove domina comunque la coppia franco-tedesca e dove il peso specifico inglese è (o è stato) ovviamente maggiore, ma non è nemmeno di seconda categoria. Si trova in una sorta di misura di mezzo, né piccola né grande e, dunque, con la potenzialità di contare di più ma anche di meno a fronte di situazioni contingenti.
Su questo sfondo, l’influenza italiana in Europa è sempre stata misura della sua effettiva capacità di esercitare quel potenziale. Quando Roma è stata attiva e ha perseguito politiche creative, ha potuto indirizzare e condizionare la politica europea. Quando è stata passiva, le ha subite, perché il consenso italiano non è sempre necessario nel minimo comun denominatore del processo decisionale europeo.
Oggi, l’Italia può contare ancora positivamente soprattutto sulla sua industria – in particolare quella manifatturiera – come fattore per far valere il suo potenziale. Ad esempio, c’è il dato dell’export più differenziato del mondo, che dunque garantisce una buona resilienza e adattabilità, con filiere relativamente corte. Ma il problema della piccola dimensione dell’industria italiana continua a pesare e i volumi maggiori sono raggiunti solo dalle partecipate statali. Inoltre, l’indebitamento e la scarsa produttività sono due nodi ancora irrisolti. Intanto, alcune nicchie di eccellenza – riconosciute e apprezzate nel mondo – ci ricordano che è necessario mantenere una mentalità aperta alle contaminazioni e al cambiamento, senza per questo rinnegare le proprie radici e tradizioni.
Il sistema politico e amministrativo pesa, comunque, nella direzione opposta – anche se va sottolineato come negli ultimi anni una ricorrente instabilità politico-sociale sia dilagata al tempo stesso nel resto del continente, portando per paradosso l’Italia più vicina alla media. La struttura presidenziale che caratterizza la Francia mostra crepe vistose, la solidità della Germania è impallidita rispetto al recente passato, il Regno Unito si è quasi auto-emarginato. Si può affermare che quello status di “potenzialmente grandi” si applichi ormai a tutti i singoli membri dell’UE e alle loro nuove debolezze, certamente se essi vengono rapportati alle controparti sulla scena globale, dagli USA alla Cina per passare dalle varie potenze emergenti con le loro notevoli ambizioni.
È una situazione molto problematica per un’Europa in cui l’opzione politico-diplomatico russa – vale a dire “eurasiatica” – è per ora scomparsa dagli scenari realistici. Nuovi accordi con gli Stati Uniti sono essenziali in tale contesto, perché il vecchio continente non può permettersi divisioni interne, né può permettersele l’Occidente, in un quadro di competizione globale intensa e multidimensionale come quello in cui siamo pienamente entrati.
Per affrontare il futuro e “completare” l’Italia e gli italiani, in ogni caso, rimane fondamentale conoscere e studiare meglio il passato – a cominciare dalla complessa eredità della cultura classica – per compiere scelte oculate e lungimiranti. È esattamente la ricetta che contraddistingue il “metodo Aspen” incarnato dalla rivista.
A questo link è possibile visualizzare la registrazione integrale dell’incontro.