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Mezzogiorno: impresa, cultura e innovazione

  • Napoli
  • 13 Maggio 2024

        Chi conosce la storia, sa bene che il Mediterraneo è sempre stato, contemporaneamente, mare di conflitti e mare di commerci. Per quanto la scoperta dell’America e lo sviluppo di nuove rotte ne abbiano limitato la centralità sugli scenari mondiali, questo bacino non ha perso rilevanza nei secoli, come testimoniano sia le cifre del suo PIL – paragonabile a quello americano e superiore a quello cinese – sia le recenti attenzioni da parte di potenze come la stessa Cina e la Russia. Queste impongono, da un lato, agli Stati Uniti di mantenere una significativa presenza nell’area e, dall’altro, all’Europa di guardare costantemente a sud, anche per fronteggiare le strategie di potenze regionali geograficamente più vicine, come Turchia e Iran. Le principali sfide che attraversano oggi il bacino riguardano la sicurezza, le migrazioni, l’approvvigionamento energetico e il cambiamento climatico, cui si aggiungono le conseguenze che tali fenomeni comportano per le popolazioni su entrambe le sponde. Tutto questo punta inevitabilmente i riflettori anche sul Mezzogiorno d’Italia, che del Mediterraneo costituisce il baricentro geografico e uno dei principali poli culturali, sociali ed economici.

        La posizione geografica del Sud Italia rende quest’area centrale, innanzitutto per quanto riguarda la produzione e l’approvvigionamento di energia. Da un lato, la presenza di condizioni climatiche favorevoli, accompagnata da importanti investimenti sia nazionali che sovranazionali, consentirebbe al Mezzogiorno di essere protagonista nel percorso di transizione energetica, con particolare riferimento alla produzione di energie rinnovabili. Diverse aziende del Sud stanno già lavorando su tecnologie innovative di accumulo dell’energia verde che darebbero un grande contributo al mix energetico nazionale. Sul piano degli approvvigionamenti, oltre alle grandi infrastrutture materiali, anche quelle diplomatiche – come per esempio il “Piano Mattei” – possono e devono passare dal Sud Italia. 

        In ogni caso, l’innovazione non caratterizza solo il settore energetico: con il sostegno delle agenzie nazionali e nel quadro del PNRR, importanti investimenti vengono effettuati anche nella meccanica di precisione, nel farmaceutico, nell’agri-food e nell’aerospazio: quest’ultimo, in particolare, vede Campania e Puglia tra le prime tre regioni italiane per presenza di aziende del settore. Un tale impegno, può contribuire, all’interno di uno scenario di backshoring, a ridisegnare il Mezzogiorno come grande piattaforma di insediamenti industriali. 

        Questo, naturalmente, non significa trascurare l’altra grande dimensione di sviluppo dell’area, tradizionalmente identificata nell’offerta turistica. I numeri smentiscono l’immagine di un Sud che già oggi vive di turismo, visto che l’80% dei visitatori stranieri non scende sotto Roma, che tra i primi 15 comuni italiani per incremento di presenza alberghiere non ce n’è neanche uno del Mezzogiorno e che anche la convegnistica rimane una voce marginale. Se nulla si può dire sulla qualità di base che caratterizza l’offerta del Sud – dalla creatività artigianale al patrimonio enogastronomico, passando per i paesaggi e lo stile di vita – molto può essere fatto a livello di trasporti, infrastrutture, ricettività e soprattutto destagionalizzazione; tutti elementi essenziali per non perdere la sfida con alcuni competitors dell’area mediterranea, soprattutto in segmenti promettenti come, ad esempio, quello del silver tourism. 

        Riflettere su un’attrattività che sappia guardare a diverse fasce anagrafiche, significa anche affrontare il tema della sanità, vista sia come fondamentale impegno etico sia come asset economico. Rendere il Sud Italia una meta non solo per turisti e visitatori, ma anche per nuovi residenti attratti dallo stile di vita e da condizioni fiscali vantaggiose, significa lavorare su servizi sanitari di qualità e diffusi sul territorio. Centrali anche in questo senso sono, da un lato, gli investimenti infrastrutturali – essenziali per la medicina territoriale – e, dall’altro, il potenziamento dei percorsi formativi. Creare nuove e diverse figure, capaci di affiancare i medici, aiuterebbe infatti a colmare più velocemente l’attuale distanza fra l’offerta di professionisti e la domanda del Sistema Sanitario Nazionale, contribuendo ad attenuare anche le disparità geografiche tra regioni.

        Per affrontare tutte queste sfide, il Sud può contare su un elevato capitale umano – fatto anche di giovani con grandi capacità e conoscenze essenziali per lo sviluppo – che compensa in parte un capitale sociale decisamente inferiore: la presenza in molte aree della criminalità organizzata, un senso civico e dello Stato non sempre accentuato, la diffusione di piccole corporazioni e grandi clientele sono tutti fattori che mettono un forte freno alla crescita dell’area. Certo, le difficoltà demografiche che interessano l’Italia limitano fortemente la presenza di giovani anche al Sud, con alcune proiezioni che parlano di rischio “desertificazione” per i prossimi decenni. Una possibile soluzione al problema può, però, essere quella di guardare ancora una volta al Mediterraneo nel suo insieme, mettendo le strutture formative italiane – in primis telematiche e poi fisiche – a disposizione di una larga platea di giovani provenienti dal Nord Africa. Creare università “bilaterali” mediterranee significherebbe, infatti, cambiare, nel giro di poche generazioni, il volto delle società e delle economie della regione, con grandi effetti anche sulla qualità e sulla quantità dei fenomeni migratori.

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