Vai al contenuto

Le sfide dell’agroindustria: investimenti, competenze, tecnologie

  • Incontro in modalità ibrida - Roma
  • 26 Maggio 2022

        La difficile situazione che il mondo sta attraversando dal punto di vista dell’approvvigionamento alimentare non inizia con l’invasione russa dell’Ucraina: ci sono state numerose avvisaglie nei due anni della pandemia e, prima ancora, con la crisi alimentare del 2008. L’Europa si trova oggi particolarmente esposta anche a causa della decisione “politica” di alcuni grandi Paesi di diminuire l’impegno nelle attività agricole, che avrebbero consentito di mantenere un solido approvvigionamento interno delle proprie filiere, e di “delegare” la produzione – in particolare, dei grandi cereali – alle aree meno sviluppate del pianeta. La situazione geopolitica va ora a sommarsi alle tendenze di lungo periodo, che vedono grandi cambiamenti nella composizione demografica della popolazione mondiale – oltre che nel suo ammontare – e significative accelerazioni del cambiamento climatico, il quale a sua volta ha gravi effetti sulle possibilità di salvaguardia dell’ambiente e di tutela delle superfici coltivabili.

        Dal punto di vista economico, le principali problematiche che possono innescare un circolo vizioso nella difficoltà di approvvigionamento sono rappresentate dall’aumento del costo dell’energia e dei mezzi per lavorare la terra. In aggiunta a ciò, l’Europa – e ancor più l’Italia, per la sua posizione geografica – rischia di dover presto affrontare anche le conseguenze migratorie di quella che si preannuncia come una vera e propria emergenza alimentare nei Paesi del Nordafrica: per fare un esempio, gli ottanta milioni di egiziani costituiscono una “bomba” innescata nel cuore del Mediterraneo, così come tutti gli abitanti di quei Paesi definiti “democrazie del pane”, in cui il ruolo dei sussidi per l’acquisto di tale bene è cruciale per la tenuta del consenso politico e per la coesione sociale.

        La consapevolezza di tutte queste problematiche ha se non altro l’effetto positivo di riportare i temi della terra, del cibo e dell’autosufficienza alimentare al centro del dibattito. Spetta ora ai decisori pubblici recepire questo sentimento e trasformarlo in azioni concrete, come già successo in Paesi vicini quale ad esempio la Francia. Va invertita la tendenza degli ultimi decenni che ha visto l’agricoltura scivolare sempre più ai margini del sistema economico, sia come peso specifico sia come considerazione sociale. L’Italia può contare su asset formidabili e unici al mondo: da un lato, il primato nella biodiversità, dall’altro l’eccellenza dei suoi prodotti agroalimentari e il loro valore anche come collante delle relazioni sociali e veicolo di promozione del Paese nel mondo.

        Un elemento determinante nel restituire centralità al settore dell’agroindustria è senz’altro rappresentato dall’innovazione tecnologica e dalla ricerca scientifica che ne è un presupposto. A fronte di una significativa riduzione delle terre coltivate, che si sono dimezzate dal 1960 al 2020, l’Italia ha comunque visto aumentare la propria produzione, almeno fino al 2000, proprio grazie allo sviluppo di nuove tecnologie e alla sapienza degli operatori. Il calo della produzione che si riscontra nell’ultimo ventennio circa è principalmente dovuto al raggiungimento del limite superiore delle tecnologie disponibili e all’intervento delle politiche agricole comunitarie, che hanno imposto una riduzione della produzione nazionale. Questa tendenza può oggi essere nuovamente invertita grazie all’impiego in agricoltura delle tecnologie digitali, in particolare dell’Internet-of-Things e dell’analisi dei Big Data. Quest’ultima in particolare consente la creazione di modelli previsionali – ad esempio, dell’andamento meteorologico – grazie ai quali è possibile produrre di più con un minor utilizzo delle risorse e, quindi, una maggiore sostenibilità. L’utilizzo delle nuove tecnologie consente, dunque, di coniugare la produttività con la tutela del paesaggio e anche con il mantenimento della fertilità dei terreni da tramandare alle prossime generazioni.

        Naturalmente, tutte queste nuove tecnologie necessitano di infrastrutture abilitanti, in primis una rete a banda larga al servizio delle zone rurali. Entro il 2022 era prevista una copertura completa di tale territorio, ma essa è attualmente ferma al 40% circa della superficie interessata. L’evoluzione tecnologica e i processi di digitalizzazione richiedono inoltre saperi sempre più interconnessi durante il percorso di formazione, che danno origine a nuove competenze a loro volta al servizio di nuove professioni. I profili professionali più versatili che stanno emergendo si addicono molto bene alle generazioni più giovani, le quali possono trovare occupazione nel settore agricolo e contribuire con successo al suo rilancio.

        Ragionare in un’ottica di filiera nazionale, da promuovere e sostenere con aumenti di produttività all’interno del sistema Paese, non significa ricadere in logiche autarchiche, ma riposizionarsi nel nuovo scenario globale, che vedrà molto probabilmente cambiare meccanismi e regole del commercio internazionale, andando verso una “globalizzazione selettiva” su base geografica ma anche valoriale. Occorre, da un lato, elaborare regole nuove per mercati aperti e, dall’altro, riflettere su come sia possibile aumentare le capacità produttive all’interno dei propri confini. Per fare questo, è necessario adottare una prospettiva di lungo periodo, ragionare su un arco di tempo almeno decennale e mettere in dialogo tutte le parti in causa, finalmente consapevoli del fatto che, per affrontare le sfide in arrivo, nessuno può bastare a se stesso.

          Contenuti correlatiVersione integrale della ricerca