Con un volume di transazioni molto inferiore agli altri grandi Paesi europei, l’Italia è in grave ritardo per quanto riguarda l’e-commerce. Le ragioni di questa lentezza non si possono solo attribuire a consumatori poco preparati e scarsamente digitalizzati: sulla mancanza di una massa critica di acquirenti – la platea di chi compra con frequenza online non raggiunge i 10 milioni di persone – influisce l’assenza di strategie e di investimenti adeguati dal lato dell’offerta.
Il Paese si sta dotando solo ora di un’infrastruttura di banda larga, mentre le aziende – anche nei settori di punta del made in Italy – non hanno messo lo sviluppo delle vendite online fra le proprie priorità, nonostante le grandi potenzialità di internazionalizzazione offerte da questo canale. L’Italia, tuttavia, ha una grande occasione per recuperare il tempo perso nello sviluppo dell’e-commerce: essendo fra i Paesi a maggior penetrazione di smartphone può infatti puntare fin da subito su questo canale, protagonista indiscusso del futuro delle vendite online.
La sfida è quella di approfittare dell’opportunità con una strategia di sistema. È, infatti, un errore pensare che internet abbia creato un mercato senza intermediari: sono nati e si sono rafforzati invece nuovi intermediari globali con cui le aziende italiane devono lavorare. A questo si possono accompagnare iniziative autonome su alcuni canali di vendita, ma in ogni caso le imprese devono aggregarsi per competere in un mercato in cui le economie di scala rimangono chiave. Inoltre, per operare su scala globale o su mercati molto eterogenei, è necessaria anche un’organizzazione aziendale capace di prevenire e gestire i picchi di vendite in Paesi diversi e in diversi periodi dell’anno.
Il settore pubblico può sostenere le aziende italiane in questo sforzo. Il timore di una riduzione della base imponibile – dettato dalla diffusione di piattaforme di vendita registrate all’estero – non deve generare diffidenza da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti delle transazioni elettroniche. Anzi, lo Stato dovrebbe predisporre incentivi, anche fiscali, che favoriscano la diffusione dei pagamenti elettronici, in modo da ridurre le distanze fra l’Italia e gli altri Paesi europei. Si darebbe così un respiro al mercato dell’e-commerce italiano, favorendo le aziende che vogliono misurarsi con questo canale e crescere all’estero.
I ritardi accumulati su Internet, del resto, si possono colmare in poco tempo in un mercato in grande mutamento. E, anzi, alcuni caratteristiche proprie dell’e-commerce (come la richiesta di un servizio e un’attenzione al cliente adeguati, la personalizzazione, la forza e la credibilità dei marchi) possono esaltare le peculiarità delle aziende italiane. Questo è particolarmente interessante in alcuni Paesi come la Cina dove la classe media continua a crescere a tassi notevoli e chiede prodotti made in Italy. Le opportunità da cogliere sono molte: basti pensare che fra i settori trainanti dell’e-commerce manca ancora all’appello il food. Si tratta di un comparto in cui l’Italia eccelle e che potrebbe rappresentare nei prossimi anni una delle nuove voci di crescita delle vendite online globali.