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La sfida demografica tra nuova organizzazione del lavoro e sostenibilità del welfare

  • Milano
  • 17 Luglio 2023

        Il declino demografico dell’Italia, pur pienamente inserito nelle tendenze in atto all’interno delle principali economie avanzate – descritte e analizzate nell’ultimo numero di Aspenia – è un fenomeno che desta particolare preoccupazione. A livello nazionale la popolazione attiva ha visto la perdita di 800.000 unità negli ultimi tre anni e la riduzione accelererà fino a registrare un calo di 6 milioni di individui in età lavorativa nel 2040. 

        Tale dinamica pone il grave rischio di una trappola demografica, ovvero di un livello in cui, a causa dell’impoverimento progressivo della popolazione in età fertile, nessun intervento riesce più a invertire o a lenire la tendenza al ribasso. In questo quadro gli interventi previsti a sostegno delle famiglie all’interno della riforma fiscale sono un passo avanti da completare con altri strumenti quali l’incremento della copertura degli asili nido e le politiche abitative. L’Italia, con una media di figli per donna che da 40 anni è stabile sotto 1,5, ha storicamente sottovalutato la variabile demografica e rischia di pagarne le conseguenze: oggi il dato nazionale è a 1,24 figli per donna rispetto ad altri Stati, come la Francia, che hanno introdotto politiche strutturali per il sostegno alla natalità e si trovano sopra quota 1,8. 

        Il problema non risiede tanto nel numero di figli desiderati, che per l’Italia è in linea con quello delle nazioni a maggior fertilità, quanto in quello dei figli effettivamente nati. Un dato che sconta diversi fattori di freno, fra cui le difficoltà economiche e sociali a realizzare i propri progetti di vita.  Le risorse impiegate nell’invertire questa tendenza si configurano come un investimento, visto che la situazione demografica ha riflessi importanti non solo sulla società, ma anche sul tessuto economico e industriale, bisognoso di capitale umano qualificato per affrontare le sfide poste dalla transizione ecologica e digitale. Se l’Italia, insieme ad altri Paesi europei, fa fatica ad agire sulla leva della quantità, nel quadro di un Occidente che invecchia e sta perdendo rilevanza demografica nel mondo, la principale strategia rimane quella di puntare sulla qualità delle persone. 

        I problemi economici e fiscali posti dall’invecchiamento e dalla diminuzione della popolazione possono essere compensati da un aumento del livello dell’istruzione: una popolazione formata è, infatti, maggiormente in grado di contribuire alla crescita economica, con tassi di partecipazione al mercato di lavoro molto più elevati che incidono in particolare sulla fascia degli over 55. L’invecchiamento attivo, inoltre, non solo aumenta la forza lavoro, ma riduce anche il peso dell’assistenza sui sistemi di welfare. L’Italia in questo campo, con un livello medio di scolarizzazione della popolazione attiva inferiore ad altre economie avanzate, ha spazio di crescita se vuole compensare gli effetti del calo demografico con la qualità del capitale umano. Si tratta di una sfida aperta anche se si considera il fenomeno migratorio. La necessità di assicurarsi nuova popolazione per un’Europa che invecchia deve coniugarsi con l’impegno a formare le persone in arrivo da continenti più giovani, ma con minori livelli di istruzione, come l’Africa. 

        Nella sfida per attrarre competenze il Vecchio Continente rischia, inoltre, di trovarsi schiacciato nella contesa fra Stati Uniti e Cina per il predominio tecnologico. Pechino è protagonista di una disperata spinta verso il digitale nel tentativo di creare benessere attraverso la tecnologia, prima che si sentano gli effetti del notevole invecchiamento della sua popolazione, segnata dalla politica del figlio unico. Le democrazie occidentali, invece, si misurano con questo fenomeno da più tempo; eppure è importante considerare come il crollo della natalità abbia ridimensionato, nell’ultimo mezzo secolo, il peso stesso dell’Occidente sulla popolazione e sulla produzione di ricchezza globali, contribuendo a  una serie di fenomeni quali il consumismo finalizzato a stimolare la crescita del PIL a fronte di una popolazione stagnante, la conseguente erosione dei risparmi, l’aumento delle imposte per sostenere la quota crescente di pensionati e la perdita di potere d’acquisto dei salari. 

        A livello internazionale non si possono ignorare, infine, le tensioni che i divari fra le dinamiche demografiche delle diverse regioni possono creare. In un quadro mondiale di crescente conflittualità diventa necessario, quindi, adoperarsi perché i flussi migratori non creino ulteriori condizioni di frizione, ricostruendo, invece, un sistema di relazioni internazionali capace di governare le differenze e di impostare politiche di crescita e di benessere collettivo.