Il nucleare sta vivendo una nuova stagione, segnata da una rinnovata centralità sia sul piano geopolitico sia su quello energetico. La crescente proliferazione delle capacità nucleari militari testimonia una mutata sensibilità strategica: le recenti tensioni internazionali — dai negoziati sul programma iraniano, fino alle minacce esplicite da parte della Federazione Russa nel contesto del conflitto in Ucraina — riportano l’arma atomica al centro del dibattito sulla sicurezza globale. In Europa, inoltre, la discussione si è riaccesa intorno alla difesa comune, anche in seguito alle proposte della Francia circa un rafforzamento del pilastro nucleare europeo, in un momento in cui crescono i dubbi sull’affidabilità dell’ombrello nucleare statunitense.
La costruzione di un mix energetico diversificato è altresì una questione di sovranità: la crisi energetica scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina ha dimostrato quanto l’energia rappresenti non solo una risorsa economica, ma anche un veicolo di autonomia strategica; questo per molti paesi significa mantenere un presidio di democrazia e lavorare per la riduzione delle disuguaglianze.
Parallelamente si impone con forza una riflessione sulla dimensione civile dell’energia nucleare. In un contesto di profonda trasformazione energetica, l’atomo si presenta come un elemento chiave per la decarbonizzazione e per il sostegno alle nuove esigenze della transizione digitale. L’energia nucleare, pur non essendo rinnovabile in senso stretto, è infatti priva di emissioni dirette di CO₂ e pertanto può essere considerata “verde” nel quadro di un approccio pragmatico alla sostenibilità, fondato sul principio della neutralità tecnologica.
Le trasformazioni in corso riguardano anche la domanda energetica. Oggi il consumo globale si distribuisce, in linea generale, in maniera equilibrata tra trasporti, usi civili e industria. Tuttavia, a questa tripartizione tradizionale si sta affiancando il peso crescente delle nuove tecnologie: la rivoluzione digitale, e in particolare la diffusione dell’intelligenza artificiale, impone fabbisogni energetici in continua crescita. Secondo proiezioni attendibili, entro il 2028 circa la metà dell’energia destinata oggi agli usi civili sarà assorbita dalle infrastrutture di calcolo, in particolare dai data center. I grandi gruppi industriali e tecnologici si stanno già muovendo per garantirsi fonti di approvvigionamento energetico stabili, sicure e compatibili con le loro esigenze, riscoprendo nelle tecnologie nucleari già esistenti una risorsa importante.
A fronte delle grandi aspettative riposte nella fusione nucleare, è opportuno ricordare, infatti, che tale prospettiva, per quanto promettente, rimane distante da una piena applicazione commerciale. Nei prossimi due decenni, dunque, l’energia nucleare continuerà ad essere generata attraverso la fissione, che conoscerà però una profonda trasformazione grazie all’introduzione di reattori più sicuri, modulari, flessibili e, in alcuni casi, persino trasportabili.
In questo scenario, l’Europa si trova a un bivio. Il rischio è quello di una retrocessione tecnologica, mentre Russia e Cina consolidano la propria leadership nel nucleare civile: attualmente circa tre quarti dei reattori in costruzione a livello globale sono di progettazione russa o cinese, con un’estesa rete di relazioni verso Paesi emergenti come India, Turchia e Bangladesh. Entrambe le potenze adottano un approccio tecnologico trasversale, investendo sia nei grandi impianti tradizionali sia nei reattori modulari di nuova generazione. Anche Stati Uniti e Canada sono protagonisti di questa innovazione, puntando sugli Small Modular Reactors (SMR), che consentono una maggiore flessibilità e sicurezza. Del resto, mentre il sostegno politico alla decarbonizzazione negli Stati Uniti appare oggi in netto declino, il settore privato continua a trainare lo sviluppo del nucleare civile attraverso investimenti consistenti.
In Europa, una dozzina di Paesi ha avviato nuove politiche favorevoli all’energia nucleare. La Francia, in particolare, si distingue per il proprio impegno tanto nell’estensione della vita utile dei reattori esistenti quanto nello sviluppo di SMR. È significativo che nazioni precedentemente orientate verso il phase-out, come il Belgio, abbiano iniziato a rivedere le proprie posizioni. Le innovazioni tecnologiche consentono, infatti, non solo di aumentare la sicurezza, ma anche di lavorare su una drastica riduzione delle scorie prodotte, riutilizzandole in processi di generazione secondaria, con un conseguente abbattimento dei costi e dei rischi legati allo smaltimento.
Eppure, nonostante segnali incoraggianti, il quadro europeo continua a presentare criticità. Gli obiettivi fissati dal Green Deal, pur condivisibili nei principi, sono stati perseguiti con metodi spesso inadeguati, generando ritardi e tensioni con il tessuto industriale. Una vera transizione ecologica richiede oggi una strategia condivisa, fondata su un dialogo costruttivo tra istituzioni e imprese, per evitare un processo di deindustrializzazione che potrebbe compromettere la competitività del continente.
In Italia il panorama sta mutando rispetto al recente passato: i sondaggi mostrano un’opinione pubblica in maggioranza favorevole all’energia nucleare. Persistono, tuttavia, ostacoli strutturali e normativi, acuiti dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha reso più complessa la governance delle infrastrutture energetiche. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) identifica nella decisione politica il primo e fondamentale passo verso l’avvio di un programma nucleare, il che si traduce nella necessità di approvare una legge delega e di avviare un confronto pubblico trasparente, che coinvolga tutti gli stakeholder e favorisca un dibattito informato e non ideologico.