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Il futuro dell’agricoltura tra innovazione, sostenibilità e cooperazione

  • Roma
  • 13 Giugno 2024

        Il settore agroalimentare – da sempre centrale e strategico nelle politiche pubbliche per il suo fondamentale contributo alla salute e al benessere dei cittadini – si trova oggi ad affrontare sfide sempre più complesse che richiedono risposte e scelte globali: non solo l’aumento della popolazione mondiale e i cambiamenti climatici, la crisi idrica, la deforestazione e l’impoverimento del suolo, ma anche i recenti squilibri geopolitici. 

        Sotto quest’ultimo aspetto, il conflitto in Ucraina – tradizionalmente conosciuta come il “granaio d’Europa” – ha prodotto effetti a catena sull’agricoltura europea: innanzitutto, ha alzato il livello d’attenzione dei governi sulla sicurezza alimentare, per quanto riguarda sia la qualità dei prodotti, sia la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento nell’ambito delle materie prime agricole. Inoltre, l’adozione di “corsie preferenziali” comunitarie per favorire le esportazioni ucraine, e sostenere quindi l’economia del Paese, ha generato distorsioni del mercato che hanno danneggiato gli agricoltori europei, in particolare nell’Est Europa.

        La ridefinizione delle priorità nell’agenda dell’Unione europea rispetto ai mercati di importazione si è tradotto innanzitutto nello spostamento dell’interesse verso Sud, al Mediterraneo e oltre: non solo a livello Paese – si pensi al Piano Mattei annunciato dal governo italiano – ma anche da parte di imprese agricole che nel continente africano hanno avviato progetti di cooperazione e iniziative imprenditoriali, nel rispetto delle pratiche ESG. Un esempio sono le Demo Farm, poli agroalimentari di produzione e conoscenza dove si sperimentano pratiche agricole innovative e sostenibili in partnership con centri di ricerca e università: grazie alla loro vocazione educativa e divulgativa, queste infrastrutture – realizzate da grandi player e consorzi agrari italiani – esportano know-how, diventando fattore di sviluppo per i piccoli e medi agricoltori locali. 

        La disponibilità di tecnologie innovative non può infatti prescindere dalla capacità di utilizzarle: per il successo delle iniziative di cooperazione, occorre da un lato attivare e potenziare percorsi bottom up di sviluppo del capitale umano a sostegno dei piccoli e medi imprenditori africani; dall’altro, considerate le smisurate potenzialità dell’agroalimentare in Africa, è essenziale implementare strategie per attrarre i giovani a intraprendere percorsi formativi per diventare professionisti e manager in un comparto sempre più tecnologico, facendo leva sulle loro capacità e caratteristiche. Inoltre, esistono sinergie tra le innovazioni top-down (dalle istituzioni di ricerca) e bottom-up (dagli stessi agricoltori) che possono contribuire a ottenere una crescita agricola sostenibile e a migliorare la sicurezza alimentare e nutrizionale nei Paesi africani.

        Il tema delle tecnologie in agricoltura – siano esse agricoltura di precisione, agricoltura digitale, biotecnologie e tecniche di evoluzione assistita, robotica e automazione, blockchain e così via – è imprescindibile anche per l’agroindustria europea e italiana. Lo sviluppo di soluzioni innovative rappresenta infatti la chiave di volta del processo di transizione energetica che l’Europa ha intrapreso con il Green Deal e che è nell’interesse di tutti – soprattutto delle generazioni future – continuare. Se la finalità della transizione è chiara e condivisa, ciò che deve essere discusso e concordato sono invece le modalità con cui raggiungere l’obiettivo, senza che i costi del processo ricadano su un settore agricolo già in sofferenza per la congiuntura economica. La nuova Commissione dovrà tenere in conto di ciò anche in vista della prossima revisione della Politica agricola comune (PAC), entro il 2027. 

        Del resto, il settore agroalimentare va tutelato non solo per la sua rilevanza economica, ma anche per la sua capacità di consolidare le comunità e creare sviluppo locale, facendo leva sui valori agroecologici e sulle tradizioni dei territori. Dalle tradizioni emergono le distintività dei territori stessi, che sono alla base del successo dell’industria agroalimentare italiana; questa, non potendo contare sulla forza delle economie di scala, ha fatto leva sulle economie di scopo nell’ambito locale per crescere e diventare il settore di eccellenza che è oggi. Anche se non esiste un modello di sviluppo univoco adattabile a tutti i contesti, l’esperienza italiana di collaborazione in agricoltura rappresenta un esempio da condividere anche con le comunità rurali nei Paesi africani. 

        Infine, non si può non dimenticare l’ultimo attore nel processo “dalla terra alla tavola”: il consumatore. Grazie all’innovazione e alla condivisione dell’approccio One Health – che riconosce l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale – mai come oggi sulle nostre tavole arrivano prodotti alimentari sicuri, in grande quantità e a prezzi contenuti. Eppure, la percezione dei consumatori finali va in direzione opposta. Esiste un problema di informazione e comunicazione, che va risolto con il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera: chi produce, trasforma, conserva e vende cibo, ma anche ricercatori e, soprattutto, decisori politici. Il digitale, come in altri ambiti può essere un fattore abilitante permettendo la tracciabilità e la trasparenza degli alimenti. In questo ambito la questione di possibili costi aggiuntivi – di cui i consumatori potrebbero non voler farsi carico – si può risolvere prevedendo politiche pubbliche incentivanti per le nuove tecnologie. Si tratta di un sostegno che genererebbe un circolo virtuoso, aumentando la fiducia del pubblico, favorendo la diffusione di soluzioni innovative lungo la filiera e aiutando il settore ad agganciare la transizione digitale. 

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