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I settori hi-tech in Italia: leva di sviluppo per il Paese

  • Milano
  • 27 Novembre 2023

        La competizione tra Stati Uniti e Cina, che ormai da alcuni anni caratterizza lo scenario internazionale con molteplici effetti economici e geopolitici, vede tra i principali terreni di scontro quello dell’alta tecnologia, con particolare riferimento alle scienze della vita, all’aerospazio e all’ICT. In questi settori, storicamente dominati dagli USA, la Cina ha visto negli anni crescere il proprio ruolo fino a diventare il principale esportatore con una quota superiore al 20% – ma comprendendo Hong Kong, che è al secondo posto, la percentuale sale al 30%. Al tempo stesso, Pechino è anche il primo importatore di prodotti di alta tecnologia. Per contro, gli Stati Uniti sono terzi esportatori – dietro anche la sola Hong Kong – e secondi importatori, mentre in Europa, per l’export, c’è da sottolineare il primato della Germania. Anche dal punto di vista dell’innovazione, ovvero nella capacità brevettuale in tecnologie hi-tech, gli Stati Uniti – pur primi con il 28% – vedono avvicinarsi la Cina, che è passata dal 15% del quinquennio 2011-2015 al 25% del periodo 2016-2020. Analizzando i singoli settori, si nota come l’Asia la faccia da padrone nell’ICT, piazzando otto Paesi tra i primi 15, mentre l’Occidente ha posizioni di leadership nelle scienze della vita e nell’aerospazio, mentre in generale gli Stati Uniti rimangono leader nell’innovazione ad alto impatto.

        L’Italia si posiziona al sedicesimo posto sia per quanto riguarda l’export, sia per la brevettazione; più nel dettaglio, è sesta nel farmaceutico – grazie soprattutto alla presenza delle multinazionali – e nell’aerospazio. Bisogna anche da segnalare che in alcune nicchie, più affini all’automazione e alla misurazione, la quota di mercato italiana è superiore al 20%. Tuttavia, l’hi-tech ha un peso limitato nel totale della produzione manifatturiera: il 6% in termini di imprese, circa il 7% per numero addetti, mentre il valore aggiunto è pari al 9% e l’export a poco più del 13%. Va comunque segnalato che il Paese è leader nell’esportazione di prodotti che non rientrano strettamente nella definizione di hi-tech, ma che ne sono fortemente permeati, come ad esempio gli yacht e la cantieristica in generale. Complessivamente, inoltre, la bilancia commerciale del 2021 vedeva l’Italia quinta al mondo nella classifica del surplus commerciale manifatturiero, con un attivo di 48 miliardi di euro: nonostante un importante deficit alla voce energia, uno minore nell’automotive, nell’IT e nei prodotti elettronici – dove comunque Francia, Regno Unito e Stati Uniti fanno peggio – il Paese può vantare una terza posizione nell’export di tutti gli altri prodotti, che costituiscono i due terzi del commercio globale e comprendono anche alcuni settori ad alta tecnologia.

        Naturalmente, i settori hi-tech sono permeati dalle tecnologie digitali e, in particolare, dall’Intelligenza Artificiale il cui sviluppo, negli ultimi anni, ha conosciuto una crescita esponenziale. Pur essendo studiata da almeno cinquant’anni, solo da poco infatti l’IA è uscita dai laboratori per diffondersi nel tessuto produttivo: secondo alcuni studi, entro il 2026 oltre l’80% delle aziende a livello globale userà l’IA generativa o implementerà applicazioni con questa tecnologia rispetto al 5% di inizio 2023. Queste tecnologie entrano trasversalmente in tutti i settori di ricerca più promettenti, consentendo lo sviluppo di applicazioni sempre più sofisticate: nelle scienze della vita, la telemedicina e la medicina di precisione; nell’aerospazio, tutte le attività che compongono il variegato scenario della space economy; nelle telecomunicazioni, i software e i componenti elettronici più avanzati. La grande disponibilità di dati e la relativa facilità di calcolo ad alta prestazione consentono, per esempio, di superare la ricerca “trials and error”, abbattendo i costi e contribuendo a ottimizzare i processi produttivi. Inoltre, l’IA generativa rende le barriere all’ingresso molto basse, tanto che le aziende possono implementarla piuttosto facilmente: questo può avere ripercussioni positive sul tessuto di PMI caratteristico della realtà italiana. 

        Per affrontare e superare le sfide poste dall’innovazione, sarà centrale il ruolo delle istituzioni formative e di quelle politiche. Da un lato, si calcola che entro il 2027 la necessità di forza lavoro con competenze legate a questi ambienti aumenterà del 50%: per soddisfare tale domanda, occorreranno certo competenze verticali, ma accompagnate da grande flessibilità. Si prevede, infatti, che gli strumenti di IA generativa raggiungeranno entro questo decennio prestazioni vicine a quelle umane in attività creative, problem solving, ragionamento logico e comprensione del linguaggio naturale. Per questo, serviranno persone capaci di “allenare” correttamente tali sistemi. Il ruolo dell’università è dunque centrale sia per la ricerca sia per la formazione di nuovi talenti dotati anche di pensiero critico rispetto ai sistemi che progetteranno e “addestreranno”. Occorrerà, contemporaneamente, aumentare il tasso di laureati che vede al momento l’Italia agli ultimi posti in UE, soprattutto nelle materie STEM.

        Dall’altro lato, l’Italia in primis, ma anche l’Europa nel suo complesso, scontano alcune difficoltà che le penalizzano rispetto ai colossi attivi nelle alte tecnologie; queste difficoltà non possono essere superate senza il contributo delle istituzioni nazionali e, soprattutto, comunitarie. Dal punto di vista dell’UE, pur tardivamente, si è cercato di elaborare una politica industriale aggiornata alle nuove sfide contemporanee: il disegno di autonomia strategica europea – non protezionista ma attenta alla difesa dei propri asset e al tempo stesso aperta alla cooperazione con gli altri attori –, il Chips Act e il Raw Materials Act vanno in questo senso, pur mantenendo aperte almeno due principali criticità. 

        La prima è che l’Europa non ha l’assetto giuridico e istituzionale per prendere le decisioni necessarie, troppo spesso dipendenti dai singoli Paesi. La seconda riguarda il fronte economico e finanziario, su cui mancano risorse da mobilitare per sostenere la programmazione industriale, laddove Stati Uniti e Cina adottano politiche molto aggressive di sostegno alle proprie imprese. Se costituire un fondo sovrano non sembra un’ipotesi percorribile, occorrerà cercare finanziamenti altrove, per esempio tramite gli eurobond. Va inoltre posta attenzione anche ai capitali privati, per comprenderne – e incoraggiarne – la disponibilità a intervenire in progetti di partenariato pubblico-privato. In un tale scenario, attrarre gli investimenti delle multinazionali americane e asiatiche da un lato, e incoraggiare le aziende a mantenere i brevetti in Europa dall’altro, costituiscono due sfide da cui dipende molto del futuro benessere europeo.