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Dalla formazione al lavoro: percorsi, scelte e sfide per giovani emergenti

  • Milano
  • 25 Febbraio 2025

        Chi affronta oggi il passaggio fra il mondo universitario e quello del lavoro si misura con un periodo storico caratterizzato dalla complessità, in cui il concetto di crisi ha abbandonato la propria natura emergenziale e unitaria per assumere una fisionomia policentrica e permanente. Accanto a un progressivo rallentamento della competitività europea nel mercato globale, in Italia si registra da anni un significativo calo demografico, accompagnato da un sempre più frequente spopolamento di alcune aree. Dal 2008 al 2023 l’Italia ha perso 200.000 nati l’anno e rimane il Paese europeo con il più grave squilibrio generazionale, cioè con la più bassa incidenza degli under 35 sul totale della popolazione.

        Alla luce di tali fenomeni, concause di una altrettanto critica contrazione della forza-lavoro, la società deve poter contare, da un lato, su lavoratori più performanti, allo scopo di mantenere costante l’attuale capacità produttiva e, dall’altro, su nuove generazioni maggiormente consapevoli delle opportunità presenti nel mondo del lavoro. A tal proposito, anche grazie allo sviluppo e alla diffusione delle nuove tecnologie più avanzate, il modo di lavorare sta cambiando radicalmente, con nuove modalità (fra tutte, lo smart working) e una maggiore attenzione al bilanciamento fra l’impegno professionale e gli interessi personali (work and life balance).

        Tra i fattori che più contribuiscono a trasformare il mondo del lavoro, imponendo, di conseguenza, un ripensamento dei percorsi formativi, emerge innanzitutto l’evoluzione tecnologica, con particolare riferimento alla diffusione dell’Intelligenza Artificiale (IA). Nonostante il ritardo dell’Unione Europea rispetto a Stati Uniti e Cina su questo versante, la sempre maggior integrazione dell’IA nei processi produttivi si configura in Italia come una delle maggiori fonti di opportunità — e al tempo stesso di preoccupazione — per coloro che devono intraprendere un percorso di formazione.

        L’Intelligenza Artificiale e il rapido sviluppo tecnologico rendono, infatti, meno utile la conoscenza intesa come apprendimento e immagazzinamento di nozioni, posto che, da un lato, l’evoluzione è talmente rapida da rendere necessario un adattamento continuo e, dall’altro, molte mansioni operative possono essere ormai svolte da Intelligenze Artificiali. Emerge, in tale quadro, la rinnovata importanza delle materie umanistiche e soprattutto delle soft skill, che valgono spesso a caratterizzare l’attrattività di un candidato nel mercato del lavoro e il suo successo lavorativo, al di là delle tradizionali classificazioni e contrapposizioni tra materie STEM e materie umanistiche. 

        D’altra parte, è stata rimarcata la necessità di sviluppare nei giovani capacità critiche di supervisione e utilizzo degli strumenti tecnologici, nonché di individuazione degli scopi da perseguire con l’automazione, posto che gli algoritmi di Intelligenza Artificiale restituiscono la soluzione più probabile e non sono sempre un valido strumento per la ricerca della soluzione migliore. In questo contesto è stata valorizzata l’importanza di sviluppare nei giovani una cultura dell’umanesimo e della ricerca del senso e della verità. 

        Se le nuove tecnologie hanno messo a disposizione strumenti per rendere più efficienti e all’avanguardia la formazione e lo svolgimento dell’attività lavorativa, si rileva, tuttavia, che molti ambienti di lavoro non hanno ancora sviluppato un’adeguata expertise per cogliere appieno tali nuove opportunità. La pubblica amministrazione, per esempio, presenterebbe un grande numero di procedimenti facilmente sostituibili da meccanismi di IA, ma deve tuttora scontare una certa scarsità di competenze specifiche nel personale. L’assenza di competenze digitali avanzate, strettamente correlata al background di provenienza prevalente nel settore pubblico, mal si concilia con le attuali esigenze delle imprese e, più in generale, del settore privato, costretto quindi a rapportarsi con una burocrazia lenta e distante dalle logiche innovative.

        Su altro fronte, il contesto lavorativo italiano si caratterizza ancora oggi per alcune gravi e storiche carenze. In primo luogo, la perdurante assenza di parità di genere, che, nonostante i progressi degli ultimi decenni, non può dirsi ancora raggiunta. L’Italia, ad esempio, risulta nell’OCSE tra gli ultimi Paesi per numero di donne attive. Inoltre, la scarsa collaborazione tra università e imprese — assieme al cronico sottofinanziamento delle università italiane — impedisce di raggiungere un adeguato livello di investimenti pubblici e privati nel settore della ricerca e sviluppo. Un contributo in tale ambito può arrivare dalla valorizzazione del dottorato industriale (cui Aspen Institute Italia ha dedicato un documento propositivo) essenziale per imprimere nuova linfa e forza a un trasferimento tecnologico che ponga i dottorandi al centro, grazie anche al sostegno di un dialogo continuo tra università ed impresa.

        In questo contesto, l’estero attira sempre più i giovani laureati italiani, il cui percorso formativo, spesso eccellente, costa allo Stato centinaia di migliaia di euro. Peraltro, nonostante queste persone esprimano spesso la volontà di rientrare e contribuire al benessere del proprio Paese, le criticità del sistema italiano e la difficoltà di rinvenire opportunità adeguate alle proprie aspettative rendono spesso difficile il concretizzarsi di tale desiderio. Risulta dunque di prioritaria importanza l’individuazione di nuove soluzioni condivise tra università, istituzioni e imprese, con l’obiettivo di ricostituire un terreno fertile per la valorizzazione, la crescita e il lavoro delle nuove generazioni.

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