Gli investimenti e l’innovazione rappresentano i pilastri fondamentali per lo sviluppo sostenibile e la crescita economica dell’Italia. Lo scenario nazionale è di luci e ombre, con un divario significativo da recuperare — anche rispetto ad altre economie europee — e alcuni punti di forza su cui far leva. Fra questi vi è la solidità industriale, che posiziona stabilmente l’Italia come seconda manifattura d’Europa, e la capacità di esportazione, con oltre 625 miliardi di euro registrati nel 2023. Il dato dell’attrazione degli investimenti, pari a 24 miliardi di capitali in arrivo dall’estero, può essere migliorato specie se paragonato alla performance di un’economia come quella francese, prima in Europa per attrattività.
L’Italia deve lavorare su alcuni nodi da tempo irrisolti come l’eccessiva burocrazia; la stabilità del quadro normativo e regolatorio, intervenendo anche sui tempi della giustizia e sulle procedure di permitting; l’adeguamento delle infrastrutture; la formazione del capitale umano, specialmente per quando riguarda le competenze scientifiche e digitali. La creatività italiana, combinata con tecnologie avanzate, può essere, infatti, il motore per un rilancio competitivo.
Tuttavia, nella sfida con le grandi aree economiche come Cina e Stati Uniti è necessario anche un cambio di passo sulle politiche europee. Nel complesso l’Europa ha registrato, nel 2023, un calo del 10% degli investimenti esteri mentre l’Asia-Pacifico conferma la propria tendenza di crescita con un progresso del 35%. Diversi sono i fattori in campo, ma è importante notare che l’Unione Europea si configura, in uno scenario fortemente competitivo, come l’unica macro-area dotata di una regolamentazione davvero pervasiva; un elemento che spesso penalizza la competitività delle imprese.
Intervenire in questo campo significa rendere nuovamente il continente attrattivo, consentendo di trovare risorse di cui ha estremamente bisogno. Secondo il recente rapporto Draghi, l’Europa necessita di investimenti pari a 800 miliardi di euro, equivalenti al 4,5% del PIL dell’eurozona, per affrontare le sfide della duplice transizione ecologica e digitale. Gran parte di queste risorse, circa 650 miliardi, deve essere destinata a innovazione e sostenibilità, settori strategici che richiedono una forte collaborazione tra pubblico e privato.
A livello nazionale il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) offre un’opportunità unica per creare un volano di investimenti esteri. Ad oggi, l’Italia ha erogato oltre il 50% dei fondi disponibili, posizionandosi al secondo posto in Europa per obiettivi raggiunti. Tuttavia, solo il 26% delle risorse è stato effettivamente speso. Non è solo un tema di competenze della pubblica amministrazione. Al Paese manca un pilastro privato di competenze e capacità adeguato a sostenere alcuni progetti essenziali per il futuro: a dimostrarlo vi è la difficoltà del vasto tessuto di piccole e medie imprese a partecipare ai progetti — e quindi a cogliere i benefici — del PNRR.
Tali limiti sono evidenti anche nella capacità di realizzare investimenti in innovazione. Il panorama nazionale è caratterizzato da aziende spesso di dimensioni ridotte e operanti in settori a bassa intensità di conoscenza. Questo si traduce in investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) inferiori rispetto ai principali competitor globali, anche tra le realtà con più di 500 dipendenti. Pur a fronte di investimenti pubblici percentualmente superiori ad altre economie avanzate, l’Italia destina appena l’1,3% del PIL alla ricerca e allo sviluppo, contro una media OCSE del 2,8% e oltre il 3% di Germania e Stati Uniti. Colmare questo divario richiederebbe un impegno strutturale e prolungato nel tempo, con investimenti aggiuntivi di 4 miliardi di dollari l’anno per dieci anni.
È necessaria, in parallelo, una riflessione critica sugli investimenti in ricerca. La tendenza del mondo occidentale mostra uno spostamento verso la scienza applicata a scapito della ricerca pura, un rischio che potrebbe compromettere l’innovazione di lungo periodo. Perciò, accanto al necessario sforzo per migliorare il trasferimento tecnologico, è necessario mantenere l’attenzione sulla ricerca di base condotta dalle università.
La presenza di operatori economici esteri svolge, in ogni caso, un ruolo di stimolo importante per l’Italia. Le imprese straniere pur rappresentando solo lo 0,4% del totale delle aziende nel Paese, coprono il 32% della spesa complessiva in R&S, dimostrando quanto sia cruciale attrarre risorse dall’estero per stimolare l’innovazione. I recenti investimenti stranieri in diversi settori — da un comparto altamente innovativo e capace di esportare come il farmaceutico, alla filiera tabacchicola che sta lavorando su nuove tecnologie e sostenibilità — dimostrano che il Paese ha forti elementi su cui basare gli sviluppi futuri. A tale riguardo non va sottovalutata la possibilità di mobilitare il consistente risparmio privato delle famiglie verso investimenti strategici. L’obiettivo rimane quello di creare un ecosistema che valorizzi l’intraprendenza italiana, attragga capitali esteri e generi innovazione sostenibile, ponendo le basi per un futuro economicamente competitivo e socialmente inclusivo.