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Attività

X-raying the US elections. A one hour conversation with Charlie Cook

    • Incontro in modalità digitale
    • 5 Novembre 2020

          È opportuno valutare il voto di questo 2020 in chiave comparata con la vittoria di Donald Trump nelle presidenziali del 2016. In quell’occasione, Hillary Clinton ottenne 20 Stati contri 30 conquistati da Trump.

          La situazione del 2020 è diversa in misura significativa. Joe Biden aveva l’obiettivo fondamentale di vincere negli Stati che Clinton aveva perso per meno di 1% del voto: ha in effetti ottenuto questo risultato, e ciò è sufficiente a spiegare lo scarto a suo favore – sia su scala nazionale che negli Stati-chiave come Michigan, Wisconsin, ma anche Georgia e Pennsylvania.

          Nel complesso, si può affermare che, a poche ore dalla chiusura dei seggi, l’esito elettorale appare in linea con uno degli scenari più probabili che erano stati tracciati dalla maggioranza dei sondaggi: una vittoria di Biden con un margine non ampio. Non deve sorprendere il tentativo da parte del Presidente in carica di gettare un’ombra di “illegalità” sul sistema di voto, visti gli annunci in tal senso fatti nelle settimane precedenti, sebbene se uno scenario di invalidazione dei risultati decisivi sembri davvero poco plausibile anche in caso di ricorso alla Corte Suprema.

          La maggiore sorpresa di questa tornata è invece il recupero dei Repubblicani alla Camera, e una parziale sorpresa la loro buona tenuta al Senato – dove è mancato un recupero democratico che appariva probabile. Il quadro che ne emerge per il Congresso conferma una buona tenuta della coalizione repubblicana e conservatrice, che peraltro può contare anche sui sei giudici conservatori alla Corte Suprema rispetto ai tre su posizioni progressiste.

          Quanto al voto presidenziale, i segnali erano piuttosto chiari da mesi: alla relativa debolezza del Presidente in carica – che non ha mai superato il 47% del gradimento complessivo – si è sommato l’effetto negativo della pandemia – che certamente l’amministrazione non ha gestito in modo efficace, secondo una netta maggioranza dell’opinione pubblica.

          Guardando al prossimo futuro a fronte di un “governo diviso” a causa della maggioranza repubblicana al Senato, su alcuni temi è possibile che vi sia comunque qualche progresso in termini legislativi: esistono infatti spazi di collaborazione al Senato soprattutto sugli interventi economici, evitando al contempo uno slittamento a sinistra del Partito Democratico sotto la spinta della sua ala più radicale (in particolare sulle politiche fiscali). Questa configurazione “divisa” potrebbe, dunque, essere positiva nell’ottica di un certo equilibrio tra le varie anime del Partito del Presidente, creando incentivi a cooperare con l’opposizione.

          Biden, vero professionista della politica, ha accumulato negli anni una vastissima esperienza in Congresso, oltre ad essere un grande conoscitore della macchina di governo – in contrasto non soltanto con Trump ma anche con Barack Obama.

          Al centro dell’agenda politica Biden porrà la lotta alla pandemia, i programmi di sostegno all’economia, e la transizione verde. Potrebbe però avere un atteggiamento più prudente di Obama sulle questioni ambientali e su alcuni delicati dossier sociali. In ogni caso, sarà necessario un difficile lavoro di ricucitura politica, istituzionale e sociale in un contesto che rimane profondamente polarizzato, dalle questioni razziali alle rivendicazioni economiche di varie fasce della popolazione.

          Guardando all’impatto internazionale, si deve partire dall’osservazione che Biden ha una lunga esperienza anche in questo settore, ed è una figura vicina all’atlantismo classico che ha caratterizzato per decenni la politica estera americana. Vi saranno, dunque, fondamentali differenze rispetto all’amministrazione Trump, soprattutto come metodologia e approccio agli alleati – in Europa, Asia, Medio Oriente. Un’ampia agenda multilaterale sarà rilanciata, ma importanti problemi non verranno certo superati in tempi rapidi o senza difficoltà, a cominciare dal rapporto con la Cina che certamente rimane di rilevanza sistemica – e sul quale diviene urgente un dialogo sostanziale con l’Europa.