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Attività

The spirit of Europe. What Europeans can do together for a political Union

    • Roma
    • 14 Maggio 2015

          Ritrovare lo spirito dell’Europa significa anzitutto recuperare la dimensione politica e culturale del progetto di integrazione. Pur con un atteggiamento critico rispetto alle attuali carenze pratiche dell’Unione, non vanno dimenticati gli straordinari risultati raggiunti dall’Europa in termini di diritti e garanzie che oggi i suoi cittadini considerano normali, ma che non lo sono affatto in molte parti del mondo. In tal senso la dimensione ideale e storica deve essere combinata con una visione pragmatica e orientata all’efficienza rispetto alle priorità del presente. Tutelare questa eredità è essenziale anche per rimettere la UE in condizione di innovare e rinnovarsi, guardando con maggiore fiducia al futuro.

          Quattro fenomeni, tuttavia, hanno messo sotto pressione l’intero edificio europeo, trasformandolo profondamente rispetto alla concezione dei padri fondatori: l’allargamento (soprattutto quello post-guerra fredda), l’avvento della globalizzazione, il lancio dell’euro, la crisi economica degli ultimi anni. L’insieme di queste sfide richiede un ripensamento delle strategie di integrazione, facendo tesoro dell’esperienza fatta fin qui.

          I pro e i contro delle varie forme possibili di integrazione differenziata o a geometria variabile sono stati analizzati alla luce degli sviluppi più recenti, soprattutto in termini di gestione della crisi economica, di scontento diffuso nei confronti delle istituzioni europee, e di nuove sfide esterne (sia competitive che di sicurezza). Sebbene permangano approcci diversi al problema, c’è una condivisa preoccupazione per la tenuta del progetto europeo soprattutto in chiave di capacità decisionale e di attuazione delle politiche concordate. Su questi aspetti si sta lavorando, sia tra i governi sia all’interno delle istituzioni europee, ma sono necessarie soluzioni più efficaci. È comunque difficile, guardando agli assetti organizzativi, applicare concetti tradizionali all’UE attuale, a seguito dei successivi allargamenti: il“nucleo” di Paesi membri meglio disposti verso l’ulteriore integrazione rischia di non corrispondere all’eurozona, e comunque alcuni impegni assunti da tutti i membri nella fase più acuta della crisi economica sono ormai cruciali per il funzionamento del mercato unico – in sostanza, sta emergendo una nuova geografia politica ed economica del Continente.

          L’ipotesi concreta di una nuova serie di delicate richieste da parte britannica nei confronti dei partner europei (fino teoricamente allo scenario “Brexit”), pone la questione più ampia di un riassetto degli equilibri tra gli organismi della UE e le prerogative nazionali, che però rischia di riaprire un vasto negoziato dagli esiti assai incerti. In ogni caso, l’opinione prevalente è che a questo stadio sia opportuno discutere apertamente anche dei punti più controversi e dunque “politicizzare” il dibattito europeo, invece di porre in secondo piano le questioni di fondo o rifugiarsi in soluzioni almeno apparentemente “tecniche”.

          Il problema posto dalla Grecia è di per sé gestibile, anche nello scenario “Grexit”, ma gli effetti indiretti di tale scenario sono quasi impossibile da valutare con precisione in anticipo: va, dunque, adottata la massima cautela.

          Il settore finanziario, chiaramente decisivo per le economie moderne, risente del clima di sfiducia verso il sistema bancario, e soffre di una grave frammentazione che lo rende poco competitivo rispetto alle controparti extra-europee. Alcuni passi avanti sono stati compiuti per razionalizzare il settore e metterlo al riparo da futuri shock, ma restano elementi di fragilità.

          L’economia reale è colpita soprattutto dalla disoccupazione, che naturalmente ha gravi ripercussioni sociali e dunque politiche, creando a sua volta un clima poco propizio alle riforme necessarie sul piano della competitività e dell’innovazione.

          Il settore energetico risente anch’esso di un’eccessiva frammentazione, che da un lato frena gli investimenti (indispensabili per realizzare appieno una rivoluzione energetica) e dall’altro riduce il potere negoziale europeo nel trattare con partner e competitor internazionali.

          C’è poi l‘industria della difesa, strettamente legata alle tecnologie all’avanguardia e alle capacità europee di perseguire obiettivi di sicurezza internazionale con strumenti adeguati: di nuovo, l’adozione di un’ottica anzitutto nazionale non consente di sfruttare il potenziale aggregato dell’Unione europea.

          Sull’insieme di queste sfide influiscono inevitabilmente le dinamiche politiche – e le tentazioni di approfittarne in chiave populista e di breve termine. Proprio per tale ragione è indispensabile uno sforzo culturale per rendere più chiari all’opinione pubblica i problemi da affrontare, la loro scala globale, ma anche le opportunità che possono aprirsi se l’Europa scommette sui suoi punti di forza e lavora pragmaticamente sui suoi punti deboli.

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