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Attività

The post-BRICS economies: rethinking the geography of global growth

    • Venezia
    • 20 Maggio 2016

          Il 2016 sarà un anno particolarmente complicato per l’economia mondiale e i rischi si distribuiscono in una maniera nuova, con il venire meno del ruolo chiave dei BRICS come motore, l’incertezza anche geopolitica sull’Europa – referendum Brexit, nuove elezioni in Spagna, fragilità della Grecia, conflitto in Ucraina. A questo si aggiunge l’incertezza sull’esito delle presidenziali americane. Gli eventuali cambiamenti dello scenario potrebbero anche significare un rimescolamento di carte e opportunità.

          L’economia globale è cambiata nel corso degli ultimi venti anni: proprio la Cina e le altre economie emergenti diventavano sempre più forti, più importanti, più coese. La fase odierna è invece piuttosto tumultuosa poiché sono ora gli stessi BRICS a rallentare, orientandosi verso una “nuova normalità” (come nel caso della Cina), oppure non riescono a superare la recessione (come il Brasile e la Russia, ma anche il Sud Africa). La situazione chiaramente è diversa a seconda delle specificità di ciascun paese o regione, ed è necessario considerare il peso dell’interazione fra i fattori chiave del cambiamento e le maggiori dinamiche politiche, economiche e finanziarie.

          È altamente probabile che la Cina conservi nel medio periodo una crescita del 7%, una percentuale ovviamente inferiore a quella raggiunta nel prospero primo decennio del 2000, ma che costituisce comunque un risultato invidiabile. Si manifesta una rinnovata spinta verso l’innovazione, e questo fa sì che il rafforzamento delle istituzioni a livello macro e micro diventi la massima priorità. L’emancipazione della classe media è l’altra sfida di primaria importanza; fin qui il progresso è stato impressionante (il reddito pro capite è venticinque volte più alto) ma le attese sono enormi e bisognerebbe fare di tutto per liberare i talenti attuali. La leadership non è solo impegnata su questi fronti, ma anche coerente nella propria weltanschauung.      

          L’india è diversa: la sua è una democrazia chiassosa, il processo decisionale è assai più complicato che in Cina, il paese è privo di una nitida strategia nazionale e la modernizzazione economica incontra degli ostacoli di natura culturale. Nonostante ciò l’India offre anche opportunità appassionanti. La tecnologia viene socializzata e lo spirito imprenditoriale trova un terreno fertile a mano a mano che le normative superflue vengono cancellate.

          Questa “nuova normalità” mette a dura prova – la Cina vale un quarto della crescita globale – ma offre anche l’opportunità al resto dell’Asia, e in realtà a tutte le economie emergenti, di costruire un secondo pilastro – il mercato interno – da affiancare al canale delle esportazioni. Il progetto «One Belt, One Road» e il varo della Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (AIIB) creano nuove possibilità. L’altra nuova tendenza è la comparsa di motori di crescita regionale di «seconda/terza generazione» (paesi del G20 come Messico, Indonesia e Turchia, ma anche Iran, Nigeria o Vietnam).

          In America Latina, in particolare, dopo un ciclo di esperimenti populisti di sinistra di stampo bolivariano, pare si sia avviata una nuova stagione di pragmatismo, e questo vale soprattutto per Argentina, mentre il Venezuela resta un caso a sé. La crescita è stata sostenuta finché è durato il super ciclo delle materie prime, il che comunque ha permesso a decine di milioni di cittadini di entrare nella classe media consumatrice. Ma successivamente è rimasta un’eredità fatta di deindustrializzazione, scarsi livelli di istruzione, di produttività e di crescita nonché istituzioni nella maggior parte dei casi disfunzionali e squilibri macroeconomici sempre più marcati.

          L’amministrazione Macri si è insediata solo da pochi mesi ma ha già ottenuto dei progressi ragguardevoli, soprattutto perché è riuscita a raggiungere un accordo definitivo sul debito con i creditori cosiddetti holdout e a realizzare una emissione di obbligazioni record. I sondaggi dimostrano che Macri gode di un alto livello di sostegno e se riuscisse a portare a termine il suo mandato sarebbe la prima volta che un esponente non peronista raggiunge un risultato che in teoria non dovrebbe incontrare contestazioni. Resta da scoprire se la maturazione della politica argentina stavolta sarà reale. Non sono pochi gli ostacoli all’orizzonte: l’opposizione continua ad essere forte, l’inflazione è già molto alta, e Papa Francesco continua ad esprimere posizioni fortemente critiche verso il liberalismo (economico) che hanno un cospicuo peso politico.   

          Un altro sviluppo importante è l’apertura dell’Iran, un paese con potenzialità immense, le quali tuttavia rischiano di restare per lo più irrealizzate, a meno che non emergano nuove condizioni. La lotta fra principalisti e pragmatisti continuerà a lungo. È paradossale che questo paese, che in termini politici è il più islamista, sia il meno islamista per quanto riguarda le preferenze sociali. Lo scenario a medio termine sarà condizionato anche dagli attori esterni: può darsi che sia inopportuno concedere troppo a Teheran prima che siano state soddisfatte tutte le condizioni poste per rimuovere le sanzioni, tuttavia una ripresa delle normali relazioni finanziarie internazionali è la condizione necessaria perché Rouhani ottenga il sostegno degli iraniani.    

          Sullo sfondo di una geografia economica globale che cambia, anche l’autorità cambia e si trasforma. L’ordine globale era fondato sulla capacità dell’Occidente di produrre una crescita globale (e relativamente ben distribuita) ma gli attacchi a questo assunto sono sempre più accesi. Al centro della nuova architettura c’è la Cina: uno stato autoritario che continua a opporsi in modo quasi paranoico a maggiori libertà e che fatica a vivere armoniosamente con il resto del mondo. Vero è che oggi gode comunque del potere di veto su qualsiasi decisione internazionale, dal commercio ai cambiamenti climatici.

          Inoltre la crescente possibilità (o almeno la decrescente impossibilità) di una «sgradevole vittoria di Trump» fa paventare il rischio di una ritirata isolazionista degli Stati Uniti. L’atteggiamento verso il libero scambio potrebbe cambiare: il destino degli accordi mega-regionali è un colossale punto interrogativo a causa della crescente disaffezione verso la liberalizzazione del commercio.

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