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Attività

Piattaforme digitali: diritto e diritti

    • Incontro in modalità digitale
    • 12 Luglio 2021

          La rivoluzione digitale ha trasformato profondamente le modalità di consumo di beni, prodotti e servizi, con sempre maggiore frequenza disponibili in rete. In questo contesto, il ruolo delle piattaforme digitali si è fatto sempre più rilevante. Esse, infatti, sono state essenziali per estendere i diritti politici, come la libertà di espressione, e per fondarne di nuovi, soprattutto nella sfera economica – si pensi ai diritti dei consumatori. Al contempo, tuttavia, hanno posto le premesse per la concentrazione di poteri dominanti e per l’esercizio abusivo di tali poteri. La questione principale, dunque, è comprendere quale bilanciamento debba esistere tra libertà e controllo e capire come si possa, da un lato, evitare di abbandonare i cittadini in “camere di risonanza” fatte di discorsi d’odio e di notizie contraffatte e, dall’altro, impedire alle piattaforme di esercitare autonome funzioni di censura.

          Di fronte a questi temi, il governo delle piattaforme presenta profili di debolezza, essendo diviso, nei vari ordinamenti giuridici, tra la regolazione antitrust e quelle di altre autorità indipendenti. Inoltre, sussiste un’inevitabile pluralità di livelli di governo competenti in materia, per il fatto che le piattaforme digitali non conoscono i confini nazionali e operano trasversalmente. È, quindi, naturale che vi sia un’interazione e, in taluni casi, una sovrapposizione tra le amministrazioni sovranazionali, specialmente europee, e quelle nazionali.

          In questa prospettiva, l’Unione europea ha l’ambizione di rappresentare un modello per tutto il mondo nel settore della regolazione digitale, il cosiddetto Bruxelles effect. Un esempio in questo senso è costituito dal successo planetario conseguito dal regolamento in materia di protezione dei dati personali, il GDPR. Nell’ambito della regolazione delle attività delle piattaforme, l’Unione ha presentato una serie di proposte normative che ora dominano il dibattito a livello internazionale e che possono costituire un riferimento anche per altri ordinamenti giuridici,specialmente per gli Stati Uniti e il Regno Unito.

          La Commissione europea riveste un ruolo propulsivo in tale processo di regolazione. Innanzitutto, la Commissione, sulla base della convinzione che la società che uscirà dalla pandemia dovrà essere più verde e più digitale, cioè in grado di avvalersi di dati e di algoritmi per migliorare i servizi pubblici e la qualità della vita, auspica che già il prossimo anno si adotti una dichiarazione europea dei diritti digitali. Inoltre, in relazione al tema delle piattaforme, la Commissione ha presentato il Digital Service Act, che prevede, tra l’altro, il principio della responsabilità per le piattaforme che detengono una mole sterminata di dati personali e che, per questa ragione, devono essere sottoposte a obblighi specifici. Ulteriori proposte normative avanzate dalla Commissione che interessano le piattaforme sono il Digital Market Act, che riguarda le regole che le piattaforme devono rispettare affinché anche le piccole imprese possano accedere alle piattaforme medesime e ai relativi mercati, e il regolamento sull’intelligenza artificiale, che pone vincoli sulla trasparenza degli algoritmi utilizzati nella raccolta e gestione dei dati.

          Le proposte europee stanno modificando in modo radicale il quadro di regolazione internazionale delle piattaforme digitali. Trent’anni fa, quando si posero i primi problemi giuridici di internet, videro la luce tre teorie alternative di regolazione: quella dell’anarchia, secondo la quale internet non avrebbe avuto bisogno di regole; quella dell’autoregolazione di internet, secondo cui non vi sarebbe stata la necessità di interventi normativi pubblici, perché la rete si sarebbe autogestita; quella della regolamentazione della rete, secondo la quale vi sarebbe stato bisogno di dettare norme specifiche per internet. Questa terza teoria si è scontrata con l’impossibilità di individuare un’autorità internazionale di regolazione della rete.

          Gli Stati, quindi, si sono astenuti per molto tempo dallo stabilire norme precise per le piattaforme digitali. Queste ultime, nel vuoto lasciato dalle autorità pubbliche, si sono autoregolamentate, con una conseguente espansione della sovranità digitale di fonte privatistica e con l’affermazione di forme di giustizia di diritto privato esercitate anche utilizzando gli strumenti informatici. Grazie agli interventi dell’Unione europea sui diritti fondamentali in ambito digitale, è possibile che in futuro convivano diverse forme di regolazione: quella privatistica delle piattaforme, quelle delle organizzazioni internazionali e regionali, quella degli Stati nazionali. La sfida principale sarà quella di creare le condizioni per un coordinamento tra queste differenti cornici normative, specialmente nel settore della raccolta dei dati e dell’intelligenza artificiale.

          D’altro canto, uno sforzo esclusivamente normativo non basta. Per una efficace regolamentazione delle piattaforme digitali occorrono anche notevoli investimenti nelle infrastrutture, soprattutto per consentire una vera transizione digitale delle pubbliche amministrazioni, le cui banche dati dovrebbero essere rese interoperabili a livello nazionale ed europeo. È poi utile rafforzare le competenze digitali, a partire dalla formazione scolastica e universitaria.

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