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Attività

Nazioni senza ricchezza, ricchezze senza Nazione

    • Roma
    • 16 Maggio 2012

          Sono passati venti anni dall’uscita del libro “Nazioni senza ricchezza, ricchezze senza Nazione” scritto da Giulio Tremonti, Sabino Cassese, Tiziano Treu e Francesco Galgano eppure è ancora oggi di straordinaria attualità, perché già allora evidenziava una frattura tra gli Stati e la realtà: la seconda sfuggiva nei suoi problemi e nelle sue opportunità ai limiti materiali in cui erano costretti a operare i primi.

          Il tentativo di creare dei “condomini” i cui gli Stati si riuniscono per risolvere aspetti ormai troppo grandi per le loro singole capacità, ha condotto nel tempo ad una proliferazione di agglomerati sovranazionali che ha di gran lunga superato il numero degli stessi Stati. Si è in presenza di un mondo in cui esistono molti motori, ma senza che vi sia un centro che ne favorisca il sinergetico funzionamento. A questo va aggiunto che spesso, anche al loro interno, questi “condomini” mancano di decisionismo: concetti come consensus, reverse consensus, comitologia – solo per citarne alcuni – sono di difficile comprensione per i cittadini che ne vedono però il risultato finale: la paralisi decisionale.

          Se l’analisi si è rivelata profetica, meno forse lo è il senso di ottimismo che alcuni hanno colto nel volume, uscito ad un anno dal trattato di Maastricht e in una fase dove la globalizzazione era vista come lo strumento per innalzare le condizioni di vita di alcuni aree in via di sviluppo. Si era, dunque, in un’Europa che aveva un suo peso economico, che era riuscita nel mantenere la promessa di impedire nuovi conflitti devastanti su scala continentale e dove una futura moneta unica e un approccio legislativo europeo fortemente influenzato dalle parti sociali avrebbero portato sicuri progressi economici.

          La visione è cruda e premonitrice, laddove la società post industriale viene descritta non come dominata dall’innovazione tecnologica e dall’automazione quanto dalla finanza. Non è importante in che modo si produce – con i nuovi robot – ma che cosa. Sempre di più il termine prodotto si dematerializza, fino a ed essere identificato con l’immateriale assoluto: il prodotto finanziario.

          Una nuova forma di capitalismo, non più monoprodotto o fortemente legato alla creazione di beni materiali, ma pronto e rapido nel muoversi negli investimenti (o speculazioni) senza limiti territoriali o etici. É allora necessario creare degli strumenti  di disconnessione che possano fare da argine all’espandersi di una epidemia economica, come qualcuno ha definito la presente crisi.

          Eppure vi è ancora spazio per l’ottimismo. Perché se è vero che gli uomini si uniscono per perseguire un interesse comune esiste allora la speranza di correggere alcuni meccanismi, purchè si ponga argine al ritmo sincopato che pervade la società odierna. Se un libro di venti anni fa è ancora attuale, allora forse certi fenomeni devono essere gestiti con una visione di longue durée.

          L’Europa di oggi – bistrattata perché non sta mantenendo la promessa del benessere – deve recuperare lo spirito dei padri fondatori: solo così riuscirà a colmare le lacune presenti nella lettera dei Trattati istitutivi in materia di crisi come quella attuale. D’altronde, quando nel 1953 fu sottoscritto il trattato di ristrutturazione del debito tedesco, anche la Grecia era tra i firmatari.

          • Tiziano Treu, Sabino Cassese, Giulio Tremonti, Lucia Annunziata e Marco Fortis
          • Sabino Cassese, Giulio Tremonti e Lucia Annunziata
          • Tiziano Treu e Sabino Cassese
          • Carlo Scognamiglio, Giorgio Beni e Angelo Maria Petroni
          • Cesare Trevisani, Paola Garonna e Giovanni Puglisi
          • Giulio Tremonti e Lucia Annunziata
          • Sabino Cassese, Giulio Tremonti e Lucia Annunziata