Vai al contenuto
Attività

Media and politics in the age of algorithms

    • Venezia
    • 12 Ottobre 2018

          Il dato principe  della rivoluzione digitale non è solo tecnologico, ma è soprattutto culturale. Nei decenni passati prevaleva nel mondo un rapporto verticale tra gestione del potere politico  e comunicazione. Oggi questa relazione è molto diversa, ed è diventata orizzontale. Tutto questo impone  di ripensare molti aspetti della società  contemporanea che apparivano scontati, primo fra tutti il nuovo rapporto tra media e mondo della politica. Per fare tutto questo è innanzi tutto  necessario sgombrare il campo da vari stereotipi ancora molto diffusi: la rete  ad esempio non è mai stata e non è oggi il luogo di tutte le libertà. Anzi spesso diventa motore di disuguaglianza e divisione. Ecco allora una via di uscita: fermare il potere degli algoritmi attraverso altri algoritmi. Il tempo dimostrerà se l’opzione funziona o meno.

          Qualcuno è stato più drastico: il potere di internet, alla fine, si risolve in un danno per la democrazia. Sono lontani i tempi delle rivoluzioni arabe quando Facebook e Twitter mobilitavano le piazze egiziane: oggi molti regimi autoritari e dittatoriali hanno imparato ad usare i social network, a controllare la rete, ad esercitare la censura. La Cina prima di tutti, da cui proviene il modello di monitoraggio dei comportamenti dei cittadini cui vengono attribuiti “voti”,  con conseguenze immediate sul loro percorso di vita professionale e privato.

          Il caso del sostegno russo all’elezione di Donald   Trump  – seppure l’inchiesta sia ancora in corso –  è da tempo l’icona rappresentativa dell’impatto digitale sulle democrazie. La digitalizzazione sicuramente ha avuto un effetto disruptive per la costruzione del consenso politico, ma non spiega l’intero fenomeno. Paradossalmente la crescita esponenziale del digitale ha sconfitto un altro stereotipo, ovvero che la rete abbia ucciso il “buon giornalismo”.  In realtà i giornali, nonostante la crisi e le ristrutturazioni per affrontare la nuova rivoluzionaria realtà, sono tornati ad essere esempio di qualità: e il New York Times ne è il portabandiera . La stessa Commissione Europea ha messo in atto misure per sostenere finanziariamente la stampa di qualità.

          Altri ritengono invece che il giornalismo professionale in realtà non faccia vendere e non dia ricavi. E un rigoroso esercizio di facts checking costa molto e non sempre aiuta. Anzi per alcuni è un vero e proprio market failure. Non per tutti: esistono realtà aziendali che dimostrano come  l’uso di facts checking ha portato  incrementi di entrate e crescita della  reputazione.

          Centrale è anche il punto delle regole. L’elemento regolatorio, pur importante, non ha i medesimi risultati nei diversi Paesi. Quello che può valere positivamente in Occidente può diventare strumento di controllo e di repressione  nei Paesi che vivono sotto regimi autoritari e dittatoriali.

          È poi tornata nel dibattito anche la complessa questione della tassazione degli over the top. C’è chi ha lamentato un’assenza della politica nel contrasto al loro strapotere e c’è chi ha preferito essere un sostenitore della moral suasion e della volontarietà, ovvero voler lasciare le aziende libere di decidere volontariamente di partecipare al bene comune.

          Secondo alcuni, invece, va trovata una via di uscita in un’ottica più larga, usando una visione propositiva che metta sul piatto un altro elemento chiave: quello dell’accesso, della trasparenza e del possesso dei dati. Non solo imposizione fiscale, dunque, ma anche open source. In questa  visione più larga dovrebbe trovare spazio anche  un nuovo contratto sociale tra cittadini, politica e mondo dalle grandi aziende high tech .

          Sul fronte degli equilibri internazionali è emersa la posizione dominante della Cina in quanto a penetrazione nel mondo digitale di Europa e Stati Uniti: basti pensare alla crescita dimensionale e di potere di Ali Baba.  Con un non trascurabile impatto sui problemi di sicurezza indotti, ad esempio negli Usa, dalla crescente espansione cinese anche nel mondo delle tlc. I russi, dal canto loro, hanno appena comprato due grandi aziende del sistema operativo di Nokia in un’ottica di contrasto al superpotere di Android e Apple. La Russia è un classico esempio di come la tecnologia venga usata per motivi politici. Emergono  in questo scenario le carenze dell’Europa che, tra le rivalità Usa – Cina, le tensioni sul commercio internazionale e le politiche russe di intromissione a favore del sovranismo e del nazionalismo, rischia di arrivare all’importante appuntamento elettorale del 2019 in uno stato di grande debolezza e confusione.

            Contenuti correlati