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Attività

Infrastrutture: tra innovazione e sviluppo

    • Venezia
    • 22 Maggio 2015

          La possibilità di rilanciare le opere infrastrutturali del Paese coinvolge e accomuna operatori del settore dei trasporti e dei servizi, amministratori pubblici e utenti delle infrastrutture. Gli indirizzi del piano Juncker e i 300 miliardi di spesa pubblica europea che esso prevede pongono il tema delle infrastrutture come asse primario. Tuttavia, non tutti gli attori coinvolti si esprimono in modo univoco: da più parti si rileva che nuove infrastrutture siano necessarie, ma non sufficienti ad assicurare una ripresa dello sviluppo del Paese. Tre sono, dunque, le domande essenziali che andrebbero poste prima di avviare nuovi investimenti infrastrutturali: quali infrastrutture realizzare, come realizzarle e in che modo finanziarle.

          Non sempre le decisioni sulle opere infrastrutturali da realizzare in Italia sono prese dagli enti che saranno i diretti beneficiari delle stesse, mentre le difficoltà procedurali e le modalità attraverso le quali maturano le decisioni condizionano l’attuazione dei segmenti italiani delle grandi infrastrutture di livello europeo e la loro integrazione al livello nazionale, regionale e locale. In molti casi la conflittualità e la competitività fra le comunità locali e regionali dipendono dal fatto che esse sono, di fatto, escluse dal processo decisionale, che resta stabile prerogativa del livello nazionale e/o europeo.

          In questo quadro, nel momento in cui si voglia decidere quali siano le opere infrastrutturali utili a una visione strategica per il Paese c’è sempre il rischio che prevalgano gli interessi dei grandi gruppi imprenditoriali o che il programma si basi soltanto sull’idea che sia comunque necessario aumentare la dotazione infrastrutturale nazionale. Una decisione indispensabile, se si confronta la situazione italiana con quella europea: è però anche vero che la carenza nazionale non è tanto la dotazione infrastrutturale, quanto il servizio – o i servizi – che le infrastrutture possono rendere, rispetto ai quali esiste una domanda reale e differenziata nelle diverse aree del paese.

          La lunghezza dei processi decisionali (il codice degli appalti ha circa 700 articoli) rende le infrastrutture obsolete già al momento della realizzazione, pregiudicando l’efficienza delle connessioni nazionali alla rete infrastrutturale europea e al suo rapporto con i grandi nodi delle aree metropolitane italiane. Conseguentemente emerge il tema dell’innovazione progettuale, tecnologica, produttiva – spesso evocato e mai realmente sviluppato – rispetto ai possibili e più adeguati modi con cui realizzare le nuove infrastrutture. Finora il ruolo dei grandi stakeholders delle infrastrutture è stato quello di agire come regolatori privati e di garantire la stabilità e la certezza del rispetto delle regole. Ma le condizioni di legalità e di trasparenza sono difficili da realizzare, soprattutto se si impone e si applica un livello di regolazione ex ante rispetto ai momenti decisionali. Occorre trovare la maniera di sanzionare i comportamenti temerari: non sono soltanto quelli delle imprese – esse pensano ai ricorsi il giorno stesso che vincono la gara – ma anche quelli dei controllori e di chi gestisce la giustizia amministrativa, che spesso si comporta come se i tempi di attuazione dell’opera siano irrilevanti.

          La cooperazione pubblico-privato oggi è condizione determinante e indispensabile per il finanziamento delle infrastrutture: una maggiore chiarezza dei ruoli e soprattutto dei limiti degli attori coinvolti renderebbe più comprensibile a tutti, specie alle amministrazioni, perché molte procedure vanno remunerate. Nell’incertezza delle regole anche la giusta attesa della remunerazione del capitale investito rischia di apparire un elemento di aggravamento delle difficoltà dell’intero processo, dalla programmazione alla progettazione e alla realizzazione infrastrutturale.

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