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Attività

I nostri Anni Venti. Come uscire dalla sindrome del lockdown

    • Incontro in modalità digitale
    • 7 Luglio 2020

          La preoccupazione per la pandemia – secondo dati Ipsos il 54% degli italiani la temeva ad aprile – va oggi fortemente diminuendo. Nei dati di giugno il contagio preoccupa meno – vale a dire un terzo degli italiani – mentre sale fortemente il timore per la recessione economica. Nel momento di massimo contagio di COVID-19 si erano diffusi e venivano condivisi valori come la coesione sociale, il senso di interdipendenza, il ritorno del senso del pubblico, il valore del volontariato e una maggiore assunzione di responsabilità legata al capitale sociale del Paese, la fiducia nelle istituzioni, eccezion fatta per la magistratura e per l’Europa. Adesso si assiste ad una costante archiviazione del clima di concordia sociale, ad un progressivo ritorno della frattura sociale e alla grande preoccupazione per le misure economiche da adottare per uscire dalla recessione e far ripartire l’economia.

          E i dati del mercato pubblicitario – termometro di molte temperature aziendali – confermano il trend: nei primi quattro mesi del 2020 si è registrata una contrazione del 22% degli investimenti pubblicitari per non parlare del 42% raggiunto in aprile. Anche la pubblicità digitale – la più forte in momenti pre COVID 19 – viaggia su un calo del 10%. Le stime per tutto il 2020 sono molto negative e si presume una perdita secca di un miliardo e mezzo di euro per l’intero comparto. Per far fronte a questa situazione drammatica si auspicano ulteriori misure di tax credit oltre l’esistente 50% – gli attuali 50 milioni previsti non possono ripagare che in minima parte le perdite – una crescita di nuove piattaforme più adeguate a gestire la crisi e una spinta forte verso la digitalizzazione nonché la formazione digitale del capitale umano.

          La qualità della leadership è stata determinante per tutte quelle aziende italiane – e in particolare quelle quotate – che sono riuscite a reggere l’urto della pandemia: la capacità di prendere velocemente decisioni, di creare empatia e sapere quali scelte adottare – e non solo sapere leggere numeri e big data – hanno permesso ai leader aziendali di produrre una buona performance nella crisi più difficile dal 1929 ad oggi. Hanno lavorato bene anche i consigli di amministrazione, laddove si sono privilegiate agende realistiche e capacità di costruire dialogo e unità. Anche sul fronte finanziario le aziende, rese più avvertite dalla crisi del 2008, sono state in grado di utilizzare strumenti e metodologie che hanno permesso loro di non collassare.

          Per il futuro la discriminante maggiore sarà il “fattore tempo”: la durata di convivenza con il virus e la risoluzione del problema sanitario. Già un periodo di 12-18 mesi porterebbe danni gravissimi all’intera economia globale, e non solo a quella italiana. E, a fronte di una prolungata situazione di pandemia, non è purtroppo da escludere un pesante crollo del sistema finanziario. Sarà decisivo proteggere il reddito delle famiglie italiane e il rilancio dei consumi interni: a fronte di una eccellente propensione all’export delle imprese italiane non si può comunque dimenticare che va fatto ripartire il mercato interno che conta per il 60% dei consumi.

          Certamente la fortissima spinta alla digitalizzazione resterà e aumenterà: otto settimane di pandemia sono stati pari a cinque anni di sviluppo del digitale. Si è registrata anche in Borsa  – negli Stati Uniti e altrove – una crescita delle società di alta tecnologia, delle società di e-commerce, della sanità e della logistica, con un aumento esponenziale del volume di affari che non sempre però si è automaticamente risolto in un aumento del fatturato a causa di una crescita delle spese causate dal periodo di pandemia. La tecnologia sarà in ogni caso al centro delle risoluzioni di crisi sanitarie presenti e future. Le aziende, soprattutto quelle farmaceutiche, si stanno già preparando.

          Nel novero dei nuovi fenomeni la pandemia ha fatto emergere un ritorno della competenza – negletta negli ultimi anni a vantaggio di un incomprensibile credo del “tutti possono fare tutto” – e una nuova stagione per la delega. Sarà allora fortemente decisivo per la ripartenza e la ripresa il ruolo delle fasce intermedie e delle istituzioni.