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Attività

Global trade e protezionismo: nuovi equilibri post-Covid

    • Incontro in modalità digitale
    • 6 Luglio 2021

          La pandemia non ha fermato il commercio globale. E ora, con l’economia mondiale che prova ad agganciare la ripresa, i dati mostrano una tendenza incoraggiante. Eppure, lo scenario in cui avvengono gli scambi è mutato profondamente. Il processo di globalizzazione degli anni Novanta e dei primi anni Duemila ha lasciato spazio a una frammentazione globale, in cui i diversi Paesi tendono a rafforzare i legami con alleati storici e con partner di fiducia. Non si tratta solo di un lascito dell’America First di Donald Trump e delle sue guerre commerciali: l’Amministrazione Biden porta avanti un approccio improntato al multilateralismo, con un atteggiamento pragmatico nei confronti della Cina e un rinnovato allineamento con gli alleati europei, ma non rinuncia a rimanere nel solco di politiche orientate al nazionalismo economico.

          È l’avvento di una nuova era della frammentazione, con un commercio globale caratterizzato maggiori controlli sulle esportazioni e restrizioni agli investimenti internazionali. Dal punto di vista interno, invece, sia Stati Uniti che Europa spingono sull’acceleratore dello stimolo pubblico con programmi ambiziosi per rilanciare l’economia. Anche in questo caso i segnali di ripresa sono incoraggianti, pur a fronte di diverse incognite. Le catene globali del valore hanno retto alla sfida del Covid, ma sono oggi sotto stress in una serie di comparti cruciali, ad iniziare da quelli delle materie prime e dei semiconduttori, mentre all’orizzonte si profilano nuovi rischi inflattivi. In un tale scenario l’Europa presenta molte fragilità: ha perso competitività in diversi settori tecnologici che sono dominati dai giganti americani e da un fitto tessuto di aziende cinesi. E la sua possibilità di recuperare terreno è limitata dagli sforzi che proprio Washington e Pechino stanno compiendo per aumentare il controllo nazionale sulle supply chain di questi comparti.

          Le stesse regole europee pensate per tutelare la concorrenza hanno limitato la creazione di campioni continentali, non tenendo in adeguata considerazione la competizione globale. Questo avviene in un momento delicato per le democrazie europee che da un lato si confermano a fianco degli Stati Uniti in un sistema di alleanze che si contrappone alle autocrazie, dall’altro soffrono di squilibri interni con potenziali effetti destabilizzanti. La sfida principale è quella delle disuguaglianze, cresciute esponenzialmente durante le fasi intense della globalizzazione ed esasperate dalla pandemia. Si lega strettamente a questa tendenza la rivoluzione tecnologica che sta cambiando il mercato del lavoro e le relazioni industriali, richiedendo in poco tempo nuove figure e nuove competenze.

          L’Europa, e con lei l’Italia, devono puntare a tutelare l’efficienza del sistema democratico: l’emarginazione economica di crescenti fasce della popolazione impedisce, infatti, di mobilitare tutte le energie disponibili per la ripresa, facilitando l’avvento del populismo che ostacola il dialogo politico e la ricerca di soluzioni condivise ai problemi economici e sociali. Le risorse del Next Gen Eu offrono un importante elemento di discontinuità, in grado di rilanciare l’economia europea attraverso infrastrutture e grandi piattaforme tecnico-scientifiche. Del resto, solo costruendo autonomia strategica e rafforzando la competitività l’Europa può tornare protagonista a livello economico e geopolitico, giocando insieme agli Stati Uniti un ruolo di leadership nella “terra incognita” della nuova frammentazione globale.

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