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Attività

Geopolitica, economia ed etica dell’intelligenza artificiale

    • Roma
    • 23 Luglio 2019

          Si investono ormai da tempo cifre enormi nell’intelligenza artificiale. In alcuni casi non ci sono ritorni certi. Così come non si è ancora ben consapevoli della definizione stessa e della differenza tra intelligenza artificiale, machine learning e algoritmo. Quel che però è certo che il futuro dell’economia e della società sarà indissolubilmente legato a questa nuova rivoluzione tecnologica. Negli Stati Uniti sono stati investiti 15 miliardi di dollari per 2250 start up, molte delle quali non avranno successo. C’è chi stima che per il 2030 saranno globalmente spesi 13 triliardi di dollari per l’intelligenza artificiale.

          Si considerino esempi di vita quotidiana dove si passerà dall’automazione all’autonomia come per le auto a guida autonoma. Si è calcolato che sono 21 i settori economici toccati dall’adozione della guida autonoma, con tutto il portato non solo tecnologico, ma legale su chi dovrà gestire i dati ed etico su chi dovrà assumersi la colpa in caso di incidente.

          La gestione dei dati – problema in realtà antico se il primo ad interessarsene fu Keplero – resta centrale, anche per uno straordinario aspetto quantitativo: 1820 terabyte di dati ogni secondo creati solo per uso telefoni e cellulari. E sono ben 200 miliardi le mail inviate in un anno: l’impegno energetico di un invio mail equivale ad una lampadina di 60 watt accesa per 25 minuti. A fronte della tutela ambientale non è solo, quindi, un problema di stampa cartacea della mail, ma anche di consumo energetico. La gestione dei dati aiuta l’organizzazione aziendale complessa e contribuisce a vedere il cliente e le sue esigenze in maniera aggregata.

          Le logiche di approccio alla regolamentazione sono molto diverse: l’Europa ha preso una strada che Cina e Usa non vogliono intraprendere. E questo potrebbe significare per l’Ue un modo intorno al quale aggregare una visione comune della difesa.  Al tempo stesso il confronto geopolitico ed economico tra Cina e Stati Uniti sta portando ad una guerra fredda tecnologica tra i due giganti e ad una probabile tensione strutturale permanente tra democrazia liberale e autoritarismo digitale.

          Molto si è anche discusso su valore e potere degli algoritmi che sono sì di grande aiuto in settori strategici come la salute, ma carichi anche di problematiche etiche, economiche e politiche. Sempre più spesso, ad esempio nel settore bancario, le decisioni sulla concessione di mutui o prestiti viene presa in base ai risultati di un algoritmo. Per gli ottimisti questo evita al dirigente di prendere decisioni sbagliate, per i più pessimisti si può invece arrivare ad errori fatali proprio perché non si tiene conto dell’affidabilità anche “umana” del richiedente: un qualcosa che sfugge sicuramente al potere dei dati benché si tratti in alcuni casi di un esito algoritmico basato su 30 milioni di parametri.

          Quella della decisione finale dell’uomo è una visione sottesa a tutto il dibattito sull’intelligenza artificiale. Non ci sarà per ora sostituzione completa del cervello umano che peraltro processa un miliardo di miliardi di operazioni al secondo: la persona umana serve non basta l’algoritmo. La tecnologia deve poi applicarsi ad un’idea di sostenibilità economica. Per costruire qualcosa di simile ad un cervello umano servirebbe allo stato attuale della conoscenza attuale una stanza di parecchi metri quadrati. Quindi per ora i robot, peraltro molto utili nell’industria e nel privato sono “stupidi” e connessi attraverso il cloud: tanto corpi, un solo cervello.

          Le tecnologie hanno peraltro mercato solo se sono anche “cost effective”, vale a dire se sono applicate a strutture complesse per risolvere problemi complessi. Ad esempio un uso produttivo dell’intelligenza artificiale, del machine learning e degli algoritmi nel sistema sanitario significherebbe ben 2 punti di PIL per un Paese come l’Italia. Ma le tecnologie cambiano velocemente e creano in pochi anni strumenti e posti di lavoro “obsoleti”: ecco perché è necessario un patto pubblico-privato per riuscire a seguire meglio il ritmo vorticosi dei mutamenti. Al tempo stesso sarà l’etica a dover accompagnare lo sviluppo delle tecnologie del digitale e dell’intelligenza artificiale per capire cosa sia socialmente e politicamente applicabile.

          • Alberto Sangiovanni Vincentelli
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