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Attività

Fisco per imprese e cittadini: equità, certezza e crescita economica

    • Milano
    • 19 Giugno 2017

          Attraverso il fisco si perseguono due obiettivi: quello sociale, assicurando le risorse per i servizi essenziali alla comunità e quello economico, favorendo le imprese  e gli investimenti. Il sistema è messo in crisi quando vengono meno le caratteristiche di equità e certezza. L’imprenditore accetta il rischio, potendolo stimare, ma rifiuta l’incertezza, ovvero l’assenza di un punto di riferimento su cui basare una valutazione. In generale, il contribuente non è disposto a tollerare una crescente pressione fiscale senza che a questa corrispondano servizi adeguati.

          Il sistema fiscale italiano presenta indubbiamente alcune criticità in merito alla certezza e alla capacità di assicurare equità dovute a una legislazione fiscale che – opinione diffusa – necessita di una seria riforma, iniziando dalla riscrittura dei codici. Un riordino legislativo che deve accompagnarsi ad una semplificazione e ad una riduzione delle eccezioni: non appaiono più sostenibile, ad esempio, le oltre 500 voci di spese fiscali presenti (per un valore di circa 150 miliardi), alcune delle quali evidente espressione di particolarismi.

          La capacità del fisco di essere capito e applicato da una crescente base di contribuenti andrebbe sicuramente ad erodere il tax gap che ammonta oggi a circa 101 miliardi di euro e le cui principali voci sono rappresentate da Irpef e Iva. Sarebbe così possibile reimmettere in circolo delle risorse importanti che potrebbero essere utilizzate per diminuire la pressione fiscale e rendere l’Italia più competitiva.

          La recente delega fiscale non aveva come obiettivo la riforma bensì l’analisi e la risoluzione dei principali problemi. Seppur attuata all’80%, ha comunque inciso in maniera significativa proprio sul versante della certezza, attraverso una serie di misure che vanno dalla interpretazione dell’abuso di diritto alla introduzione della cooperative compliance, dalla definizione dei tax crime alle sanzioni amministrative. Lo spirito guida delle azioni compiute è stato il cambio di paradigma: da un approccio repressivo ad uno preventivo e collaborativo tra fisco e contribuenti. I risultati ci sono stati, come dimostrato dai pagamenti di Iva e Ires che sono aumentati in misura maggiore della crescita del Pil o dei consumi diretti.

          Indubbiamente resta ancora un importante 20% della delega fiscale da attuare, ed è auspicabile che quanto fatto sinora trovi forme di applicazione anche alle PMI, una realtà imprenditoriale italiana molto importante.

          Vi è poi la necessità di affrontare in maniera sistemica ed efficace le questioni sollevate dalla crescente presenza dell’economia digitale. È, infatti, chiaro che alcune categorie e metodi di valutazione, frutto di realtà economiche del XIX secolo, mal si applicano in questo nuovo contesto per la determinazione della catena del valore, dei profitti e nella valutazione dei processi decisionali che – con l’avvento del machine learning e della robotica –saranno effettuati da computer e non da persone fisiche.

          Su questo nuovo scenario, la proposta di riforma fiscale che viene dagli Stati Uniti – definita dalla Casa Bianca come “The biggest Individual and Business Tax Cuts in American History” – ha il pregio di avere gettato il sasso nello stagno, non solo per l’influenza che gli USA hanno sull’economia mondiale, ma anche perché sono la culla della net economy.

          La proposta di riforma fiscale americana si muove su due assi: il primo – presente in alcune proposte all’esame della Camera dei Rappresentanti – vedrebbe una riduzione dal 35% al 20% dell’aliquota più alta per le imprese; il secondo, proposto dall’amministrazione Trump è basato sul cash flow tax, vale a dire sulla tassazione delle importazioni e la detassazione delle esportazioni. Per ora si tratta di proposte che devono essere ancora attuate: vale in ogni caso il nuovo approccio destinato ad avere ripercussioni di vario tipo sia sul fronte domestico che nei rapporti con gli altri Stati.

          In assenza di una politica fiscale comune si auspica per l’Europa un approccio sovranazionale a queste importanti questioni economiche e di giustizia sociale. Per quanto riguarda l’aspetto della semplificazione e il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale – in particolare delle multinazionali – l’Europa ha intrapreso la strada della multilateralità e della creazione di strumenti che favoriscano un approccio preventivo, con l’obiettivo di mettere i singoli Paesi in grado di dialogare con le imprese in maniera costruttiva. Al tempo stesso il BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), recentemente varato dall’OCSE, ha come obiettivo quello di ridurre l’evasione fiscale delle multinazionali, frutto dello squilibrio fiscale competitivo tra Stati.

          L’Unione Europea ha rilanciato nel 2016 il CCCTB (Common Consolidated Corporate Tax Base), presentato per la prima volta nel 2011. La nuova versione presenta alcuni importanti cambiamenti, frutto di dibattito interno e di esperienza sul campo. In particolare sono state rafforzate le caratteristiche di trasparenza, equità e certezza. Attraverso una riduzione degli oneri per le imprese, incentivi per la R&S e per le startup, si vuole concretamente esaltare il valore di supporto all’economia di un fisco equo e consolidato.

          Se da una parte si tenta di migliorare l’applicazione del fisco attraverso nuovi e più efficaci strumenti, dall’altra è necessario avviare una profonda riflessione sul futuro, andando oltre la ricerca di nuovi tecnicismi. È necessario aprire una discussione di politica pubblica e capire quale  tipo di società democratica scegliere. Se si ritiene che tassare il reddito rispetto ai consumi sia lo strumento migliore per assicurare la redistribuzione e perseguire l’uguaglianza, bisognerà distinguere cosa si vuole: un’uguaglianza a prescindere dai livelli assoluti o una che provveda ai servizi fondamentali. Continuare con questa ambiguità può comportare il rischio di una società dove la spesa pubblica alimenta se stessa, in attesa che la globalizzazione faccia saltare gli equilibri.

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