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Attività

The Europe-Russia Forum

    • Incontro in modalità digitale
    • 9 Luglio 2020

          Il dialogo tra l’Unione europea e la Russia si è quasi  interrotto negli ultimi anni, per vari motivi. La politica ufficiale dell’UE comprende il concetto di “impegno selettivo”, che offre oggi un’opportunità alla luce dei rilevanti interessi comuni nel contesto del conflitto sempre più intenso fra gli Stati Uniti e la Cina. Tutti i paesi membri dell’UE sono favorevoli, al pari della Russia, alla continuità del sistema multilaterale in settori chiave, come il commercio internazionale e la cooperazione tecnologica. Quest’ultima, infatti, è diventata una precondizione per l’attuazione di politiche efficaci in quasi tutti i settori. In termini di accesso alle tecnologie, la Russia è naturalmente orientata verso l’Europa, anche se gli ostacoli indubbiamente rimangono e devono essere affrontati apertamente. Forme più ampie di cooperazione economica contribuirebbero anche a   evitare una deriva dal punto di vista dei  valori e dei principi, come si è potuto osservare soprattutto quando si affrontano crisi e focolai di tensione regionali.

          Esiste probabilmente un potenziale di cooperazione bilaterale nel settore delle politiche ambientali, ma il “green deal” europeo è in gran parte un tentativo di ridurre la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili. Questo, a sua volta, pone un problema per le attuali relazioni con la Russia, almeno nel breve termine. Ma esiste anche il timore che l’UE possa utilizzare le politiche climatiche come strumento di protezionismo commerciale.

          Un problema non secondario rimane quello delle divisioni tra i paesi membri dell’UE. C’è ancora molta strada da fare prima che le divergenze sulle  priorità possano essere superate e questo continuerà ad ostacolare il miglioramento delle relazioni con la Russia e una più coerente proiezione esterna europea ad ampio spettro. Alcuni osservatori hanno persino sostenuto che l’UE si sta in realtà ritraendo dagli impegni internazionali e sta tornando ad assumere il suo tradizionale atteggiamento opportunistico – già manifestato specialmente nel contesto delle relazioni con gli Stati Uniti in materia di difesa  – e a  concentrarsi esclusivamente su obiettivi interni.

          Gli effetti della pandemia si intrecciano  in effetti con altri fattori problematici, come il decadimento delle istituzioni internazionali e le tensioni geopolitiche e commerciali fra gli Stati Uniti e la Cina.  In pratica, la crisi economica indotta dai vari lockdown e dalle misure sanitarie sta accentuando tendenze preesistenti, soprattutto in una direzione pericolosa. La maggior parte dei partecipanti ha convenuto che siamo di fronte a un acceleratore piuttosto che a un importante cambiamento di direzione.

          Quest’accelerazione appare evidente nel conflitto fra Cina e Stati Uniti, che sta influenzando le loro  relazioni con i paesi terzi ed è difficile che ciò possa cambiare radicalmente anche nell’eventualità di  un’amministrazione Biden. Questo crea un grande  dilemma per gli europei, ma in parte anche per la Russia di fronte al processo di “deglobalizzazione” in corso e al conseguente  rafforzamento del protezionismo. Finora, nonostante una certa convergenza transatlantica sulla valutazione della    sfida posta dalla Cina, è stato quasi impossibile per l’Europa e per gli Stati Uniti trovare un’intesa su qualsiasi iniziativa verso Pechino.

          Per quanto riguarda la Russia, Mosca considera l’iniziativa cinese Belt&Road (BRI), ovvero la nuova Via della seta, come una potenziale opportunità, specialmente nel settore delle infrastrutture, che potrebbe aiutare la Russia a svolgere una funzione di intermediaria tra l’Asia orientale e l’Europa occidentale. E nonostante le gravi difficoltà nell’attuazione pratica dei progetti BRI, le iniziative cinesi volte a collegare l’Eurasia trovano un atteggiamento aperto da parte del Cremlino.

          Le tensioni tra Washington e Mosca invece persistono: la loro natura è infatti strutturale e negli Stati Uniti esiste un solido consenso bipartisan anti-russo, sebbene ciò non si traduca in una politica di aperto scontro. In effetti, molti in Russia temono che un’amministrazione Biden finisca per danneggiare ulteriormente le relazioni bilaterali, in parte a causa della probabile enfasi sui diritti umani e verosimilmente del tentativo di ristabilire (o riadattare) la presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente.

          Una presidenza Biden migliorerebbe sicuramente le relazioni transatlantiche almeno nel breve e medio termine e aprirebbe anche una nuova fase di franco confronto, sebbene il futuro sia piuttosto incerto per l’alleanza occidentale.

          La maggior parte dei partecipanti ha convenuto che il sistema internazionale rimarrà probabilmente  multipolare, ma sia l’UE che la Russia finiranno per diventare potenze di secondo livello in quasi tutti gli scenari immaginabili.

          Altri  hanno osservato inoltre che l’ascendente culturale e  il prestigio degli Stati Uniti sono stati gravemente danneggiati dalla pandemia e dalla sua (cattiva) gestione. Questo sta avendo degli effetti sistemici, poiché una minore disponibilità americana ad assolvere gli impegni derivanti dai rapporti di interdipendenza renderà più probabili, nel corso del tempo, gli attriti sulle politiche di sicurezza a livello globale.

          Nell’affrontare la pandemia, la Russia sembra essersi collocata in una posizione intermedia tra il modello europeo e quello americano. Il Cremlino ha dimostrato una certa capacità di delegare alcune decisioni e misure d’importanza chiave alle autorità locali – nonostante la forte centralizzazione che  ancora caratterizza il sistema politico –  rendendo in tal modo la risposta più efficace di quanto avrebbe potuto essere.

          In realtà, la reazione della Russia alla crisi sta in parte beneficiando dell’atteggiamento relativamente prudente che aveva adottato in materia di politiche economiche (in particolare riguardo alle riserve finanziarie) prima della pandemia, come pure dalle cospicue misure di stimolo attivate ​​da altre grandi economie. E data la sua forte dipendenza da fattori internazionali – a partire dai prezzi dell’energia – questa strategia è forse l’unica realistica, che alla fine può ripagare.

          L’Europa sta ottenendo risultati migliori di quanto molti si aspettassero, grazie alle misure politiche adottate all’interno dei paesi membri e  dall’Unione europea nel suo complesso. Nell’affrontare la pandemia, quasi tutti i paesi europei hanno seguito  lo stesso percorso e hanno sperimentato un modello molto simile in termini di contagi e decessi (un rapido aumento, seguito da  lockdown  rigorosi, che hanno determinato un rallentamento significativo della diffusione del virus e quindi una stabilizzazione dei casi di contagio a livelli gestibili, almeno per ora).

          Per quanto riguarda le misure economiche, la comune scelta europea è stata quella di salvaguardare in gran parte l’occupazione dei lavoratori, il che aiuta in termini di coesione sociale ma rallenta alcuni adeguamenti necessari delle imprese. Si registreranno certamente delle differenze nelle reazioni dei mercati del lavoro,  dovute però in prevalenza alle tendenze e alle prospettive preesistenti, per cui le ripercussioni della crisi prodotta dalla pandemia  potrebbero rivelarsi alla fine abbastanza simmetriche in tutta Europa.

          Un effetto positivo nel Vecchio Continente – e in  qualche misura a livello globale – sarà probabilmente che i governi e le opinioni pubbliche avranno tratto  lezione dai propri errori. Oggi siamo tutti consapevoli che la cooperazione è indispensabile e realizzabile, anche nell’eventualità  di una “seconda ondata” di contagi.

          Le decisioni prese a Bruxelles sono state molto importanti per preparare il terreno: l’abolizione di fatto dei vincoli di bilancio da parte dell’Unione Europea è stata un passo fondamentale, in concomitanza   con l’intervento della BCE, poiché entrambe hanno reso molto più facile l’adozione delle misure di emergenza nazionali. Il risultato complessivo è stato un buon livello di convergenza, nonostante le continue difficoltà che dovranno essere affrontate. La sfida per il prossimo futuro sarà quella dell’attuazione delle ben note  “riforme strutturali” collegate al sostegno finanziario offerto dall’UE. In ogni caso, la struttura istituzionale europea sta cambiando significativamente in meglio. Questo nuovo impegno   in termini di politiche di bilancio era assolutamente necessario anche prima della pandemia. Parallelamente, verrà posta maggiore enfasi sul mercato interno nel contesto di problematiche relazioni internazionali:  non necessariamente il migliore scenario possibile, ma quantomeno un’occasione da cogliere per rafforzare il mercato unico.

          Secondo alcuni partecipanti il rischio maggiore per la coesione dell’Europa risiede in realtà nel modo in cui verrà affrontata la fase post-pandemia. La politica sembra essere in ritardo rispetto alle misure da adottare: fratture profonde potrebbero presto  emergere man mano che i costi della crisi colpiranno ampi settori della società, dopo anni di crescita lenta e di preoccupazioni per l’aumento delle disuguaglianze.