Vai al contenuto
Attività

Creative disruption: technological innovation, new inequalities and human security

    • Firenze
    • 18 Novembre 2016

          Non c’è aspetto della vita, dell’economia o della politica che non sia toccato dagli importanti cambiamenti tecnologici del nostro tempo. La velocità e la portata della trasformazione è tale che le sue conseguenze incidono su tutto, dalla natura del lavoro al concetto stesso di umanità. I percorsi professionali zigzaganti ora sono la norma, le industrie tradizionali vengono rivoluzionate quasi da un giorno all’altro, e il dibattito politico è più intenso e più polarizzato che in qualsiasi altro momento della nostra storia recente.

          La digitalizzazione ha posto le basi per nuove forme di organizzazione del lavoro. La piattaforma economica rende più efficiente la corrispondenza fra lavoratori, compiti e mansioni, riducendo al tempo stesso la domanda di lavoro routinario e manuale. Tuttavia, a differenza del passato, le nuove tecnologie tendono a sostituire totalmente la manodopera anziché esserne complementari. Secondo uno studio della Oxford University, negli Stati Uniti, nei prossimi 5-10 anni, il 47% dei posti di lavoro rischia di scomparire a causa della meccanizzazione. Ciò contribuisce a polarizzare il mercato del lavoro, creando pochi posti di lavoro altamente remunerativi in cima, e molti posti di lavoro precari alla base.

          Le cose stanno cambiando così velocemente che il divario fra gli innovatori e il resto della società continua ad allargarsi. Solo una élite riesce a cavalcare l’onda tecnologica, la maggioranza della popolazione ne viene sommersa. Il livello di flessibilità necessario per sopravvivere in questo ambiente dal ritmo così frenetico è tale che, in futuro, il numero degli sconfitti è destinato a crescere. I sintomi però sono già chiari adesso. Nelle economie avanzate la disoccupazione o la sottoccupazione si ostinano a restare alte, e in Occidente aumentano le disparità di reddito o benessere. Lo scontento politico e il populismo sono l’inevitabile conseguenza di tali dinamiche.

          Sul fronte economico quasi non c’è attività che non venga rimodellata completamente dalle nuove tecnologie, che siano i big data, i robot autonomi e l’intelligenza artificiale, o la stampa 3D, i nuovi materiali e l’Internet delle Cose. Le innovazioni abbassano il prezzo delle merci e ne ampliano la varietà per i consumatori, rendendo al tempo stesso più efficienti i processi produttivi. La sanità, ad esempio, è una delle sfere in condizione di trarre particolari vantaggi da tali cambiamenti. La biotecnologia e le tecnologie digitali hanno cominciato a collaborare proficuamente, gettando le fondamenta per i dispositivi impiantabili, la stampa 3D degli organi, la miniaturizzazione ovvero l’applicazione della tecnologica digitale alla cura medica.

          Tuttavia adattarsi a simili cambiamenti è particolarmente arduo per le mega aziende che, a differenza delle agili startup, sono responsabili della vita materiale di migliaia di lavoratori. Data la complessità della loro organizzazione, le imprese mature lottano per competere con le aziende più piccole in focalizzazione e velocità, e perseguono erroneamente la standardizzazione del prodotto al fine di espandere la portata delle loro attività. Dal 2000 a oggi più della metà delle imprese societarie del Fortune 500 o sono fallite o sono state vendute o hanno cessato di esistere.

          Nessun cambiamento radicale può concretizzarsi se non c’è un ambiente ricettivo. La libertà, l’apertura e l’adattabilità sono indispensabili perché la disgregazione si verifichi fluidamente, senza minare la stabilità dell’intero sistema. Per evitare che le disgregazioni odierne diventino una fonte di rischio sistemico, i lavoratori, i capitani d’industria e i decisori politici dovrebbero lavorare insieme per neutralizzare il pericolo attraverso efficaci programmi di istruzione e di formazione, una regolamentazione non ostile all’innovazione, e modelli di business più flessibili. In questo modo sarà possibile massimizzare la dimensione creativa delle attuali disgregazioni tecnologiche, minimizzandone il potenziale distruttivo.

            Contenuti correlati
          • Creative disruption: technological innovation, new inequalities and human security, Firenze, 18-19 novembre 2016
          • Blair Levin, John Clippinger e Stefano Bertuzzi
          • Daniel Franklin, Suzanne Berger e Kris Bledowsky
          • Elio Catania e Paola Castagnoli
          • Fabrizio Landi, Marta Dassù e Dario Nardella