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Attività

Assessing risk: intersection of global economy and geopolitics

    • Incontro in modalità digitale
    • 24 Marzo 2021

          Il periodo 2020-2021 è inevitabilmente dominato dalla crisi pandemica, che genera tuttora incertezze su vasta scala, sia in modo diretto per le prospettive di ripresa economica, sia in modo indiretto per le ripercussioni sociali e politiche, alcune delle quali possono anche avere conseguenze geopolitiche molto significative nel medio e lungo termine. Ecco i punti principlai emersi nella nostra discussione, non sempre in forma unanime tra i partecipanti, che consideriamo key takeaways:

          •  Nella fase attuale, il business sentiment prevalente è piuttosto positivo sulla ripresa a breve-medio termine, soprattutto perché ha già scontato i costi significativi della crisi e riflette le prospettive più positive, particolarmente in termini di rilancio dei consumi, investimenti frenati nei mesi passati, forte sostegno governativo (pacchetti di spesa e incentivi vari), e alcune forme di efficientamento digitale. Il settore finanziario si è mosso con anticipo rispetto all’economia reale, ma potrebbe favorirne la ripresa proprio grazie alle proiezioni ottimistiche.
          •  Le misure di stimolo adottate dalle maggiori economie hanno dimensioni straordinarie: ciò è certamente vero per il bilancio varato negli Stati Uniti, ma anche per il Next Generation EU. Intanto la Cina è già avviata su una traiettoria di crescita robusta, che contribuirà a un rilancio del commercio internazionale, nonostante i problemi in questo settore cruciale. I maggiori dubbi si concentrano sulle economie emergenti e su quelle meno avanzate.

          US economic recovery, a long way to go
          24/03/2021
          Erik Jones
          Director of European and Eurasian Studies; Professor of European Studies and International Political Economy, Johns Hopkins University

           

          • Negli Stati Uniti il problema più preoccupante è l’occupazione, visto che si registra un forte spostamento verso impieghi part-time e una quota importante di lavoratori ha abbandonato del tutto il mercato del lavoro. Intanto è in aumento la quota di mutui problematici, e peggiorano i dati sulla povertà assoluta. In questo quadro, il tema delle diseguaglianze rimane inevitabilmente centrale anche in vista del prossimo voto di midterm nel 2022. Le preoccupazioni relative all’inflazione, comunque, sono per ora sovrastate dall’obiettivo di accelerare la ripresa e contenere i danni immediati della crisi, e gli interventi sono orientati al sostegno della domanda (sullo sfondo di una propensione al risparmio minore rispetto a quella europea).
          • Proprio le dimensioni massicce dell’intervento federale americano creano di fatto un “time lag” tra le due sponde dell’Atlantico che oggi si stima in circa un anno per tornare ai dati economici pre-pandemia: l’Europa crescerà più lentamente, in parte per ragioni strutturali che sono precedenti alla crisi del 2020. Ma la UE ha anche posto le basi per un migliore utilizzo delle risorse disponibili (puntando su una “doppia transizione”, verde e digitale) in un’ottica di maggiore solidarietà e dunque con un maggiore effetto-moltiplicatore dell’intervento pubblico. La sfida per l’Europa si concentra su tre punti: come avere politiche fiscali che orientino effettivamente gli investimenti nelle direzioni più produttive e innovative; come attuare regole più anticicliche, anche mediante un migliore coordinamento tra politiche nazionali e organismi europei. Per ora, appare essenziale realizzare i primi trasferimenti di risorse prima dell’estate. A più lungo termine, andrà chiarito quanto del nuovo approccio si può considerare un cambio di passo permanente e quanto solo un intervento straordinario.

          Covid: a ten years crisis
          24/03/2021
          Oksana Antonenko
          Director at the Global Risk Analysis team, Control Risks Group

           

          • La piena uscita dalla pandemia sul piano globale è tuttora un elemento di incertezza: si può delineare infatti uno scenario di superamento delle restrizioni dovute al contagio da Covid-19 nell’arco di alcuni mesi (graduati in base alle situazioni epidemiche di ciascun paese), ma anche uno scenario alternativo di focolai (e possibili lockdown) ricorrenti che colpirebbero soprattutto i settori già più danneggiati, come viaggi e turismo, parte del commercio al dettaglio etc. Vanno dunque considerate con grande cautela le ripercussioni socio-politiche di medio e lungo periodo, soprattutto in chiave di diseguaglianze, mancata coesione sociale, efficienza delle politiche di sostegno, e sostenibilità dei bilanci pubblici in una situazione di debito pubblico molto alto. Le stesse campagne vaccinali stanno causando forti tensioni sia sul piano globale, sia all’interno del blocco europeo, sia infine tra autorità nazionali e regionali nell’ambito dei singoli Stati. Situazioni analoghe potranno presentarsi anche nella fase successiva alla vaccinazione di massa. A più lungo termine (un’ottica decennale), i due scenari principali sono relativi ai tassi di interesse reali: resteranno bassi, oppure cresceranno ponendo una pressione enorme sulle traiettorie del debito pubblico?
          • La crisi pandemica ha messo alla prova tutti i sistemi politici, evidenziando differenze in termini di capacità organizzative e predisposizione culturale, sostanzialmente trasversali rispetto alla distinzione tra democrazie e regimi autoritari. In tal senso, continueremo a vedere forti asimmetrie nella ripresa economica, legate in parte alla capacità di costruire consenso e gestire/contenere il dissenso e le tensioni sociali.
          • Importanti effetti della pandemia si sono intrecciati con fenomeni che erano già in atto da alcuni anni, fungendo quasi sempre da acceleratori: la volatilità internazionale nel settore delle commodities, i forti contrasti commerciali e tecnologici tra USA e Cina, le numerose incertezze legate alla transizione energetica e dei modelli produttivi, la tendenza al reshoring di alcune attività con una riduzione delle supply chain, un aumento del ruolo statale nell’economia per gestire la globalizzazione, la rapida digitalizzazione dei flussi produttivi oltre che dei servizi. Tutte queste tendenze vanno ora valutate alla luce delle scelte politiche dell’ultimo anno, che a loro volta sono contraddittorie soprattutto su un punto centrale: mentre si sta manifestando un atteggiamento più introverso da parte dei governi e più “difensivo” rispetto agli attributi della sovranità, c’è anche la consapevolezza che nuove forme di coordinamento multilaterale diventano più necessarie che mai per la gestione di problemi transnazionali.

          Usa-Eu and the China issue
          24/03/2021
          Richard Burt
          Managing Director, McLarty Associates

           

          • Un problema specifico in vista di una transizione complessiva che accompagni la ripresa riguarda il settore energetico: nei prossimi cinque anni esiste il rischio di un grave squilibrio tra domanda (in crescita) e offerta (in calo, per i mancati investimenti nelle fonti fossili), e inevitabilmente un rischio geopolitico per il futuro dei maggiori Paesi esportatori proprio di fonti tradizionali. In altre parole, pur essendo giustificato lo spostamento degli investimenti verso le fonti rinnovabili, si dovrà tenere in considerazione l’impatto economico e strategico dell’uscita dalle fonti tradizionali.
          • Guardando ai rapporti transatlantici, il mondo del business esprime una certa fiducia nella capacità di rilancio del commercio internazionale, sulla base di un mix equilibrato di concorrenza e tutela dei consumatori. Anche il principio della solidarietà nel settore cruciale della salute pubblica darà impulso alla collaborazione euro-americana, nonostante alcune differenze di approccio e diverse sensibilità. Restano però le tensioni rispetto alla gestione dei grandi attori digitali, e soprattutto rispetto a Cina e Russia, che si configurano come fattori di rischio geopolitico in modo diverso che in passato – la Cina in quanto vera questione globale e sistemica, la Russia in quanto potenza opportunistica intenta a seminare divisione oltre che ad accrescere la sua presenza militare in vari teatri di crisi. Soprattutto da una prospettiva europea, il ruolo energetico della Russia implica comunque che essa si debba considerare come parte integrante delle catene del valore dei prossimi anni, e che dunque esista una sorta di “triangolo strategico” con la Cina – anche in ottica transatlantica.
          • L’economia cinese pone un dilemma concettuale per il resto del mondo, con fondamentali conseguenze geopolitico: la dimensione della sua popolazione e il suo potenziale produttivo portano naturalmente a scenari in cui l’aumento del suo peso globale è destinato a continuare a lungo. Ogni eventuale sforzo di “contenimento” della crescita cinese deve tenere in considerazione questo dato strutturale. Si deve perciò inquadrare correttamente la sfida cinese: non è soltanto (né per ora soprattutto) uno scontro geopolitico-militare, bensì anzitutto una competizione tecnologica e dunque uno scontro geoeconomico. Sebbene sia comprensibile l’atteggiamento americano più orientato al contenimento militare – vista la forte esposizione di Washington nella regione indo-pacifica – sarà fondamentale ricordare l’importanza della rete di alleanze (sia in Asia che in Europa): le caratteristiche della sfida cinese richiedono l’attiva collaborazione di alleati e partner. Proprio in chiave di strategie multilaterali, il conflitto aperto non è inevitabile, anche se alcune questioni potrebbero aumentarne il rischio in modo considerevole, a cominciare da Taiwan. Un rafforzamento dei fori multilaterali è comunque necessario e possibile, bilanciando le esigenze di deterrenza e quelle di gestione dell’interdipendenza.
          • Dal punto di vista americano, l’Amministrazione Biden dovrà superare la crisi pandemica adottando in modo tangibile lo slogan elettorale “Build back better”: affrontare efficacemente il problema delle grandi infrastrutture americane è una precondizione per un rilancio della competitività complessiva del Paese, e dunque anche per una capacità di negoziare con la Cina da posizioni di forza.