Chi sogna di cambiare il mondo, oggi potrebbe farlo attraverso i dati. Francesca Dominici, Professor of Biostatistics presso il Dipartimento di Sanità Pubblica di Harvard e Co-Director della Data Science Initiative dell’università americana ha condotto una fondamentale ricerca nella quale svela i danni nascosti di alcuni inquinanti atmosferici, indicendo l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense a rivederne i livelli consentiti. Ma le opportunità offerte dai dati – spiega Dominici al sito di Aspen – sono enormi anche in Italia: adeguati investimenti tecnologici, infatti, potrebbero portare a notevoli risultati – in termini di salute, ma anche di risparmi economici – per un sistema sanitario universale come quello italiano. E per farlo serve far aumentare il numero delle scienziate donne.
Biostatistica, una nuova prospettiva per la salute?
Negli ultimi anni è aumentato esponenzialmente il numero di aspetti della vita quotidiana che possiamo misurare con i dati. Grazie a questa rivoluzione tecnologica, siamo in grado di raccogliere dati su tutto e tutti, a volte anche contro la volontà dei diretti interessati. In questo modo è cambiata anche la percezione di chi lavora con i dati: in passato era difficile immaginare uno statistico come una persona che potesse cambiare il mondo. Oggi i data scientist sono molto più di moda: chi controlla e analizza enormi quantità di dati ha la grande opportunità di influire profondamente sulla società. Pensiamo alla salute: possiamo misurare tutte le sorgenti di inquinanti e capire che effetti hanno sulle persone, avanzando proposte concrete per intervenire e, ad esempio, diminuire l’esposizione di alcune categorie a rischio.
E in Italia a che punto siamo?
L’Italia, come altri paesi europei, ha un sistema sanitario universale e questo offre migliori possibilità per l’analisi dei dati rispetto alla situazione americana, dove l’unica assicurazione sanitaria universale interessa gli over-65. Il fattore chiave è, però, la presenza di una piattaforma tecnologia che possa raccogliere e rendere disponibili questi dati. Se è vero che un sistema sanitario con cartelle mediche digitali può richiedere importanti investimenti, è altrettanto vero che le ricadute – economiche e in termini di salute generale – saranno notevoli. Con un monitoraggio efficace dei dati si possono avere informazioni dettagliate sull’incidenza delle malattie, abbattendo i costi degli screening periodici e realizzando solo quelli effettivamente necessari. Oppure si può ottimizzare la gestione dell’ospedalizzazione, evitando di trattenere i pazienti troppo a lungo o, al contrario, di dimetterli troppo presto causando poi una nuova ospedalizzazione.
Come si posizionano le università italiane nella data science?
L’Italia ha, in questo ambito, una competenza enorme e le sue università non sono assolutamente indietro rispetto ai migliori atenei del mondo. Conosco le realtà di Padova, Firenze, Roma che si stanno muovendo in maniera molto accelerata. La sfida è mettere a sistema i migliori talenti con diverse competenze, facendo comunicare la data science con quelle discipline applicate che utilizzano quotidianamente l’analisi dei dati: dalla medicina all’economia, passando per la fisica. Studenti e ricercatori formati in Italia sono preparati e anche molto flessibili. In Italia come altrove la sfida è quella di eliminare le tante barriere che ancora caratterizzano la cultura accademica. Mi sembra, tuttavia, che esista già un importante cambiamento in atto.
Quanto cambia il divario di genere con l’aiuto della Data science?
Non sta cambiando abbastanza in fretta e quello della data science rimane ancora un mondo dominato da figure maschili: io del resto passo tutto il mio tempo circondata da uomini. È un problema per questa disciplina: la data science richiede, infatti, la combinazione di varie capacità. Non c’è solo il coding, ma anche il lavoro di squadra, con un aspetto fondamentale di intelligenza emozionale. Avere più team di ragazze, in questo ambito, sarebbe di enorme aiuto, ma è necessario ancora molto lavoro. Per me un passo importante è stato diventare direttrice della Data Science Initiative di Harvard. Dobbiamo fare diventare cool i numeri anche per le bambine, per questo ci vogliono modelli femminili: le nuove generazioni devono guardare alla data science e pensare che le donne sono capaci di cambiare il mondo con i dati.
Francesca Dominici è Professor of Biostatistics presso la Harvard T.H. Chan a School of Public Health; sempre ad Harvard è Co-Director of the Data Science Initiative. La sua ricerca si concentra sui metodi statistici per l’analisi di enormi quantità di dati complessi in settori di grande rilevanza strategica come la sanità pubblica, il cambiamento climatico, la tutela dell’ambiente. Molto attiva nei programmi a favore della diversity, nel 2015 ha ottenuto il premio “Florence Nightingale David” per i suoi contributi come role model per le donne e per i risultati eccellenti ottenuti nel campo della ricerca statistica.