Non solo donazioni. Il settore del no-profit può lavorare anche in contesti di sostenibilità finanziaria, grazie all’offerta di servizi a prezzi calmierati per le popolazioni destinatarie di aiuti umanitari. Si crea così maggiore responsabilità in chi riceve il servizio, mentre i progetti si possono replicare più facilmente, sostenendo l’economia locale. Lo racconta Daniele Cangemi che, dopo una lunga esperienza nel settore dell’assistenza umanitaria in campo medico, oggi è Program Manager – Global Operations and Strategy di OneSight, organizzazione americana che si occupa di cure oculistiche caritatevoli.
Quali sono gli obiettivi di OneSight?
OneSight nasce come fondazione caritatevole di LensCrafters, retailer americano poi diventato parte del gruppo Luxottica. Lo scopo, molto semplice, è quello di aiutare le persone a vedere meglio. L’obiettivo è rimasto lo stesso anche quando OneSight è diventata un’organizzazione no-profit indipendente. Il nostro target sono le persone che non hanno solo problemi visivi, ma anche finanziari. Siamo presenti in 20 Paesi al mondo, dall’America all’Asia. In America Latina, ad esempio, lavoriamo con cliniche temporanee, in collaborazione con i Ministeri della Salute e dell’Istruzione di vari Paesi: arriviamo in una località, montiamo clinica e laboratorio per una o più settimane e visitiamo un fra le 3.000 e le 5.000 persone. Una volta finiti gli esami della vista, si passa alla produzione degli occhiali.
Si tratta di un modello replicabile anche in altri settori?
Certamente. Penso si tratti di un’esperienza da cui altre aziende del made in Italy possano prendere spunto. Del resto la stessa OneSight nasce dalla replica del modello di LensCrafters dove si può fare visita e montaggio lenti in una sola volta.
Ora la sfida è rendere questi progetti permanenti e sostenibili. Questo significa, in primo luogo, sostenibilità finanziaria: il progetto deve essere in grado di affrontare spese, stipendi e costi fissi, facendo pagare ai destinatari finali un prezzo minimo. Per rendere un progetto sostenibile in un Paese ci vogliono in media dai 3 ai 5 anni. Il primo progetto di questo tipo lo abbiamo realizzato in Gambia, oggi ne abbiamo uno in Rwanda e uno in Zambia e siamo pronti a replicarlo in Cina e in altre zone del mondo.
Quali sono i vantaggi di un progetto finanziariamente sostenibile?
Nelle mie precedenti esperienze in organizzazioni umanitarie che si occupavano di cure mediche, ho visto come i servizi offerti a un prezzo calmierato aumentino la responsabilità di chi ne usufruisce, accrescendo il valore percepito. Insomma chi ottiene un servizio o un prodotto pagando un prezzo, seppur minimo, lo sente più suo perché lo ha ottenuto con il proprio lavoro. La sostenibilità finanziaria di un progetto ha, poi, ricadute positive in altri ambiti: rende più facile replicare i progetti, con impatti positivi sull’economia locale e quindi sulla società.
La crisi economica ha aumentato la necessità di assistenza umanitaria, anche in campo oculistico?
C’è sicuramente una domanda crescente, anche in Paesi prima meno esposti. Penso al Brasile, un’economia con potenzialità enormi. Gli ultimi quattro anni di forte crisi hanno avuto grandi conseguenze dal punto di vista sanitario ed educativo. Le richieste di aiuto che ci arrivano si sono moltiplicate, anche per quanto riguarda regioni ricche e produttive come lo Stato di San Paolo. La crisi, infatti, ha escluso moltissime persone dalle assicurazioni private andando ad impattare su un sistema sanitario pubblico molto carente.
Daniele Cangemi è Program Manager, Global Operations and Strategy per OneSight. Ha iniziato a lavorare nel mondo umanitario nel 2005, con un’esperienza prima in Cameroon con il Centro Missionario di Rimini e CARITAS, successivamente in Angola, Italia, Colombia, Somalia, Kenya, Guinea e Nigeria con Médecins Sans Frontières (MSF), la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo.