Un network di case per mettere in contatto gli startupper che viaggiano per il mondo, perché lavorare e condividere uno spazio può abbattere le barriere e favorire la nascita di idee innovative. Chiara Giovenzana, membro della comunità “I Talenti Italiani all’Estero” di Aspen Institute Italia, dopo un passato da ricercatrice e da manager (come Ceo di una start-up del settore biotecnologico) adesso lavora al lancio del nuovo progetto Startup Homes.
Cos’è Startup Homes e come nasce?
L’idea di creare una rete di case per giovani imprenditori nasce l’estate scorsa a Palo Alto, attraverso un’esperienza diretta a contatto con le esigenze degli startupper della Silicon Valley. Condividere un grande spazio come quello di una villa con una decina persone, non solo può essere conveniente rispetto all’affitto di un appartamento, ma diventa anche un ottimo strumento di lavoro. È una situazione in cui il potenziale degli imprenditori che vivono e lavorano insieme si può moltiplicare, arrivando a coinvolgere anche gli investitori. Ed è logico che quando ci si ritrova seduti a tavola a fare colazione insieme le barriere si abbattono e da lì possono nascere le idee migliori o ottime occasioni di business.
Questa esperienza si può esportare fuori dalla Silicon Valley?
Certamente. L’idea è quella di estenderla ad altre case già esistenti negli Stati Uniti per poi allargare il network attraverso la creazione di nuovi spazi: oltre a San Diego, San Francisco e New York penso a Berlino, Barcellona e, perché no, anche a una sede in Italia. Le potenzialità sono notevoli: le case degli startupper non solo possono offrire ospitalità alla stregua di un albergo per imprenditori e investitori, ma sono al contempo incubatori e centri per eventi e incontri di business. La nostra villa a Palo Alto, che è solo la prima del progetto, ospita ad esempio un evento a settimana: dalla grande festa della Singularity University a cene ristrette come quella con i membri del think tank Atlantic Council.
Qual è stata la risposta degli startupper al vostro progetto? Un’iniziativa del genere può prendere piede anche in Italia?
La risposta è stata entusiasta, basta pensare che al momento abbiamo una lista di attesa per entrare a fare parte del network. Questa rete di case permetterà, anche a chi cerca di fare start-up fuori da quella culla delle imprese innovative che è la Silicon Valley, di avere un posto dove lavorare e stabilirsi per un periodo negli Stati Uniti sfruttando i contatti e le possibilità offerte dal network. Alla fine quella di Startup Homes è una idea inserita nel solco della share economy, l’economia della condivisione che sta esplodendo nel mondo e credo possa far breccia anche in Italia. Nel nostro Paese, infatti, ci sono segnali incoraggianti per quanto riguarda il mondo delle start-up.
Da ricercatrice a imprenditrice. Qual è la sua storia professionale?
Ho studiato biotecnologie mediche a Modena e ho ottenuto il dottorato in biologia molecolare e biotecnologie a Ferrara. Dopo diverse esperienze di ricerca fra Europa e Stati Uniti ero convinta di essere destinata a fare il “topo da laboratorio” a vita: invece una borsa Fullbright Best mi ha portato per sei mesi in Silicon Valley a seguire corsi di technology entrepreneurship. Una volta a casa, l’idea di creare un’impresa mi sembrava troppo divertente per tornare indietro. L’occasione è arrivata dall’Università di Basilea, dove avevo fatto il post-doc: volevano creare una società, Cellec Biotek per commercializzare il brevetto del bioreattore – un dispositivo che permette di generare tessuti biologici – e ritenevano che fossi la persona giusta per guidarla. Ora, nonostante i frequentissimi viaggi, sono tornata in Silicon Valley per il nuovo progetto di Startup Homes. Alla fine solo da lì può partire la creazione di una rete di luoghi dove far vivere e interagire i diversi player del mondo dell’innovazione.