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“Green economy: Asia all’avanguardia” – Intervista a Edoardo Magnone

    • Ricerca
    • Research
    • 17 Aprile 2013
    • Aprile 2013
    • 17 Aprile 2013

    Gli investimenti in ricerca sulle nuove tecnologie per l’ambiente non servono solo a migliorare l’efficienza energetica e a ridurre le emissioni inquinanti, ma sono anche un importante indicatore della crescita economica. Così accade nei paesi asiatici così potrebbe succedere in Italia che, vantando laureati di ottimo livello, dovrebbe però puntare di più sulla valorizzazione dei ricercatori. Edoardo Magnone, membro della comunità “I Talenti Italiani all’Estero” di Aspen racconta la propria esperienza, prima in Giappone e ora in Corea, nella ricerca sulle nuove energie.

    Secondo il suo paper la capacità di produrre nuove tecnologie diviene uno dei più importanti indicatori per la crescita economica. Pensa soprattutto all’Asia?
    L’Asia è il centro delle ricerche in campo energetico: basti pensare che il 40% dei ricercatori nel mondo in questo settore sono asiatici e il 30% dei fondi per la ricerca viene da Giappone, Cina e Corea. Pechino da sola ha aumentato del 160% gli investimenti negli ultimi 5 anni e del 75% il numero di ricercatori, mentre il progresso a livello mondiale è stato del 24%. Le energie alternative del resto hanno bisogno di un enorme lavoro di ricerca e il settore pubblico mantiene un rapporto costante con tutta la filiera: in Cina ad esempio l’80% dei finanziamenti vanno alla ricerca applicata, una percentuale simile a quella della Corea.

    Quali condizioni permettono a questi paesi di essere all’avanguardia?
    Lavoro in un istituto governativo sudcoreano dove ci sono 250 ricercatori strutturati e circa 500 collaboratori. Le risorse umane, rispetto ai progetti cui si lavora, sembrerebbero contenute, ma la differenza è che i ricercatori hanno una produttività molto elevata. Non è una questione di formazione, anzi: tutte le volte che lavoro con italiani trovo che abbiano una preparazione nettamente superiore ai livelli asiatici, anche perché dimostrano spesso grande flessibilità e creatività. La differenza, piuttosto, sta nelle condizioni di lavoro: oltre a una migliore retribuzione, molti paesi asiatici offrono ai ricercatori una serie di bonus, incluse facilitazioni per il trasferimento della famiglia. La filosofia in fondo è questa: se vivi bene nel tuo tempo libero produci di più. È un modello che sicuramente sarebbe utile esportare in Italia.

    In quali campi della ricerca energetica stanno investendo maggiormente i paesi asiatici?
    Attualmente si lavora molto sull’abbattimento della Co2, attraverso la cattura, lo stoccaggio e la trasformazione. Qui in Corea ci sono diversi istituti di ricerca governativi dedicati a questo problema. La differenza con quanto avviene altrove è che questi progetti non sono direttamente collegati al rispetto di trattati internazionali sulla riduzione dell’inquinamento. Il fine in realtà è quello di mettere un campo progetti di lungo periodo che facciano fruttare i finanziamenti. Il 30/40% delle emissioni inquinanti viene dall’Asia, ma questi paesi sono quelli che più stanno investendo nell’affrontare il problema. E non bisogna dimenticare che se la Cina è un grande inquinatore, è sicuramente anche il maggiore produttore di energie alternative.

    Un chimico che si occupa di nuove energie. Qual è il suo percorso professionale?
    Mi sono laureato in chimica a Genova, ma mi sono specializzato in scienza dei materiali e, dopo essere andato a fare ricerca all’Università di Tokyo, sono stato chiamato a Daejeon a lavorare per il Korea Institute of Energy Research (KIER). Sono nove anni che lavoro in Asia e attualmente mi sto occupando del processo di purificazione e produzione dell’idrogeno, step precedente all’utilizzo nelle celle combustibili. Anche se non siamo vicini all’avvento di una vera e propria economia dell’idrogeno credo che i nostri studi possano dare un contributo alla creazione di un sistema integrato di fonti alternative. Del resto si tratta di un settore che non solo crea risultati dal punto di vista ambientale, ma promette anche grandi ricadute economiche e occupazionali.