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Cina e Italia insieme per l’energia pulita. Intervista a Paolo Vincenzo Genovese

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    • 9 Luglio 2012
    • Luglio 2012
    • 9 Luglio 2012

    Portare in Cina il know-how italiano per realizzare città sostenibili. Paolo Vincenzo Genovese, è professore ordinario presso la Scuola di Architettura dell’Università di Tianjing e ha vinto diversi riconoscimenti per i suoi studi sui sistemi sostenibili nell’ambito dell’edilizia urbana. Così mentre Pechino sta orientando parte della sua crescita verso il green business – spiega Genovese al sito di Aspen – anche l’Italia può fare altrettanto. Stringendo una cooperazione con i cinesi per attrarre investimenti e mettendo a disposizione “quell’eccellenza delle piccole cose” di cui il nostro sistema produttivo è capace.

    Un architetto italiano che insegna ai cinesi come costruire case sostenibili. Il business verde cresce solo in Cina o ci sono prospettive anche in Italia?
    La sostenibilità è uno dei temi centrali di questi anni è credo che l’Italia abbia tutte le carte per percorrere questa strada. Le regioni meridionali potrebbero diventare produttrici di energia pulita, sul modello di altre zone del Mediterraneo o del Medio Oriente che si stanno riconvertendo dal petrolio al solare. Certo per percorrere questa strada c’è bisogno di investimenti ed è innegabile che grandi capitali siano difficili da reperire non solo in Italia, ma in tutta Europa. Bisogna andare allora verso l’Asia: credo che i collegamenti fra Italia e Cina, anche dal punto di vista degli investimenti, debbano essere basati su un rapporto di cooperazione. Non quindi o non solo l’acquisto da parte dei cinesi di aziende italiane – con il rischio che questo si trasformi in una sorta di colonizzazione – ma anche una connessione stretta che permetta all’Italia di mettere a disposizione il suo know-how partecipando della ricchezza che arriva da Pechino.

    Quali sono le eccellenze che il sistema italiano può offrire agli investitori asiatici?
    La competenza che il nostro paese ha a livello delle cose di grande qualità è un atout importante in questo campo. Siamo legati ancora a quel sistema, basato sulla genialità, di cose fatte con le mani che garantiscono eccellenza. Certo, questo a volte ci frena quando si parla di grandi numeri, e credo che di fronte alla competizione globale l’Italia debba mettere a sistema le sue caratteristiche di eccezionale livello artigianale. Per attrarre investimenti cinesi è fondamentale, inoltre, la capacità che hanno gli italiani di essere creativi, di essere diversi. I cinesi hanno preso molto dagli americani dal punto di vista del management, della logica, della capacità di muoversi sul mercato. Ma ne hanno acquisito anche i punti deboli. Ma quello che li colpisce è che gli italiani sono un po’ imprevedibili, quindi non sono copiabili. 

    Cosa si è rivelato più utile, del suo background italiano, durante l’esperienza professionale in Cina?
    Credo, come accennavo prima, che si sia trattato della capacità di arrangiarsi, un bagaglio che mi porto dietro fin dall’università. La facoltà di architettura dove ho studiato a Milano era veramente caotica, e non lo dico in senso negativo: gli studenti erano lasciati a se stessi, ma potevano confrontarsi con professori veramente bravi.  E questo li portava ad essere autonomi, ad avere i propri spazi, a fare quello che volevano. Ad essere più creativi insomma. Sì, credo sia stato questo aspetto positivo dell’arte dell’arrangiarsi proponendo soluzioni inaspettate a rivelarsi maggiormente utile.  La Cina del resto è un paese molto particolare in cui, checché se ne dica, c’è una grandissima libertà. Basta che uno non si occupi di politica e può fare praticamente quello che vuole. E questo significa anche un po’ arrangiarsi, barcamenarsi e annaspare in grandi difficoltà, visto che la Cina è piuttosto caotica. Un po’ come l’Italia. La differenza sta forse nel fatto che l’Italia produce cose di alta qualità mentre la Cina, per sua natura, è orientata verso soluzioni semplici ed economiche.

    La cultura italiana quindi aiuta a capire la Cina? Cosa invece si può imparare a contatto con la cultura cinese?
    Credo che gli italiani siano molto flessibili. Dalla mia esperienza ho notato che persone e culture con molto metodo e molta organizzazione, pensiamo ai tedeschi, corrono il rischio di avere grossi problemi di adattamento in un paese come la Cina. La capacità, invece, di trovare un escamotage di fronte a un problema può aiutare moltissimo. Certo dai cinesi si possono imparare un sacco di cose, e io credo, alla fine, di aver imparato più di quanto ho dato.  Una delle cose che mi sta servendo maggiormente è il non far prevalere la mia opinione, il non formulare critiche poco costruttive. I cinesi usano tutte le energie in risolvere il problema, evitando di perdere tempo nel cercare il colpevole di un fallimento, e cercano di ascoltare tutte le opinioni: anche il più piccolo parere può avere un elemento di interesse ed infatti viene preso sempre in considerazione. Tutto questo porta a trovare soluzioni di livello pratico, magari non perfette ma attuabili con mezzi semplici. Ecco, forse a volte anche noi dovremmo smettere di discutere sui massimi sistemi ed essere più concreti. E non è detto che navigare a vista verso un obiettivo vicino sia sempre qualcosa di negativo.