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Le sfide per le leadership europee nel nuovo ordine mondiale

  • Venezia
  • 4 Ottobre 2025

        Ibrida. Perché non è né in pace né in guerra. Così è oggi l’Europa: in una fase di interregno tra l’uscita da antichi parametri – la pax americana – e la ricerca di assetti ancora di là da venire. Nel descrivere l’attuale dinamica politica, in Europa ma anche altrove, prevale un elemento di novità, ovvero il ritorno della questione identitaria con forte connotazione religiosa: dal risveglio dell’Islam, allo stretto legame tra Putin e la Chiesa ortodossa, al ruolo delle chiese evangeliche nella rielezione di Trump e all’influenza di confucianesimo, buddismo e taoismo nell’identità cinese di oggi che ricorda quella dei tempi di Mao. 

        Il ritorno alla questione identitaria e nazionalista rischia di essere per l’Europa un ulteriore fattore di disgregazione dall’interno che si somma alla già evidente debolezza delle democrazie occidentali. È essenzialmente un problema di visione strategica e di governance nonché di leadership adeguata ad interpretarle. L’Europa non è ancora pronta per un assetto federale e va avanti con cooperazioni rafforzate e con alcuni buoni esempi di funzionalismo come dimostrano il CERN, l’IIT di Genova, l’Human Technopole e l’Istituto italiano per l’intelligenza artificiale. 

        A decidere in Europa oggi è sempre più il Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo che detta la linea su materie importanti come budget, concorrenza, difesa e politica estera. Né si può dire che l’unanimità sia l’unico problema visto che anche alcune decisioni a maggioranza qualificata – come quella sulle migrazioni – non riescono a raggiungere i voti necessari. Perde potere la Commissione su cui il Consiglio ha acquisito un’influenza preventiva, riducendola di fatto ad una sorta di segretariato generale. Anche il Parlamento europeo sembra scivolare su posizioni di secondo livello: sulla questione dazi, ad esempio, il PE non ha convocato audizioni a Commissari o a Ministri per approfondire e chiarire le posizioni nazionali ed europee.

        Difesa, sviluppo tecnologico, intelligenza artificiale ed energia sono temi strategici su cui l’Europa resta indietro: ad esempio sul Green Deal si sono sbagliati i tempi e si è sofferto della mancanza di dialogo tra Bruxelles e imprese. Le leadership europee sono chiamate ad uscire da una situazione di stallo e torpore, partendo da alcune note positive: si torna a parlare di eurobond che potrebbero sostenere le spese per la difesa, mentre Francia e Germania hanno firmato un importante accordo sul nucleare. Politicamente si è avanzata la proposta di un all in di tutti i Paesi che hanno chiesto l’adesione, Ucraina compresa, nell’ottica di evitare che sia Putin ad allargarsi verso Ovest. 

        All’interno del sistema delle democrazie occidentali si è rotto un tabù storico: l’Europa ha capito che non può più contare troppo sugli Stati Uniti, peraltro molto concentrati sulle proprie questioni interne. Sull’economia innanzi tutto: le prospettive sono abbastanza ottimistiche, anche considerando che gli incentivi fiscali e le misure della legge di bilancio non sono ancora entrate in vigore. Gli investimenti negli Stati Uniti sono cresciuti dell’8%, i dazi non hanno provocato una fiammata inflazionistica e le restrizioni sull’immigrazione non hanno avuto grandi impatti sul mercato del lavoro che continua a generare posti anche qualitativamente migliori. Dopo una caduta del PIL all’1% dovuto alle scorte, l’amministrazione indica, per il secondo semestre 2025 una crescita del PIL del 3,8 %. Molto meno ottimistiche – si parla del 1,8% – sono le previsioni della Fed, di altre istituzioni e di centri studi che prevedono invece una secular stagnation per i prossimi due anni. Ma l’amministrazione Trump sa che solo con una strategia di crescita economica di successo si potrà mettere mano, nei prossimi due anni, ad un nuovo patto sociale. 

        Cosa che invece l’Europa è chiamata a fare velocemente mettendo in atto politiche attive perché, se non verrà affrontato, il problema redistributivo rischia di far scoppiare il sistema. Serve sostenere la crescita in un contesto demografico critico, dove ormai il tasso di fertilità è sceso all’1,2 %. Avendo capito che saranno loro a pagare la pensione degli anziani i giovani preferiscono – per questo e per altri motivi – andare all’estero. Con il calo demografico più che carenza di posti di lavoro si rischia di non trovare più lavoratori: non solo c’è penuria di lavoratori specializzati in materie STEM, ma mancano anche i camerieri. Cresce il lavoro povero, con un paradosso tutto italiano: i dipendenti vengono pagati poco, lavorano tanto ma lavorano male. 

        È arrivato il momento per le leadership europee – o post-europee sostengono alcuni – di cominciare a leggere, o rileggere, con più profondità concettuale anche l’orizzonte tecnologico e ingegneristico che è in costruzione nel pianeta. Le analisi strategiche di organizzazioni e istituzioni sono oggi centrate sostanzialmente dentro un pensiero e un paradigma strumentalista che sottovaluta il destino istituente della tecnica. Il filosofo e il politico dovrebbero, invece, leggere le innovazioni tecnologiche — ad iniziare dall’intelligenza artificiale — come creatrici di nuove istituzioni, come nuove architetture di coordinamento socioeconomico. 

        Siamo nel mezzo di una rivoluzione e nel pieno di una crisi delle democrazie, che nel mondo oggi sono 88 e vanno difese. Come sosteneva Hannah Arendt spesso il successo dei regimi autoritari deriva dal fatto che in un mondo dove prevale il caos il leader totalitario può far credere facilmente alle masse quello che vuole e subito dopo poterlo smentire, avvalendosi di una grande capacità tattica nel liberarsi delle promesse fatte.

        C’è dunque bisogno di nuova passione per la democrazia, soprattutto c’è bisogno di ravvivarla nei giovani che sembrano non accettare i processi decisionali lenti e complessi delle democrazie. E sembrano dimenticare che ogni leader in democrazia è sottoposto – contrariamente ai leader autoritari – al giudizio degli elettori. E torna allora alla memoria la sempre attuale “maledizione di Jean Claude Junker”, ex Presidente della Commissione Europea:” Sappiamo cosa fare ma non sappiamo come essere rieletti una volta che l’abbiamo fatto”.