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Fonti energetiche e competitività delle imprese: le sfide per l’Italia e per l’UE

  • Roma
  • 12 Giugno 2025

        La transizione energetica globale presenta un quadro ricco di opportunità ma anche di sfide per le imprese italiane ed europee. L’urgenza climatica è inequivocabile: il 2024 ha registrato temperature record, superando già a gennaio il limite auspicato di +1,5°C. In questo scenario, il settore energetico vive una trasformazione epocale guidata dalle rinnovabili, che hanno rappresentato il 92% della nuova potenza installata globalmente nel 2024. Tuttavia, la transizione rimane incompleta: il mix energetico mondiale manterrà una significativa componente fossile almeno fino al 2050.

        A dominare questa trasformazione è la Cina, che grazie a economie di scala decisive ha conquistato una posizione egemone in un mercato delle rinnovabili e dell’economia circolare che vale circa 2.000 miliardi di dollari. Questa leadership genera però una preoccupante dipendenza per materie prime critiche come le terre rare, oltre che per l’intera catena tecnologica. Mentre i Paesi africani cercano di trattenere sul continente la raffinazione di elementi strategici, l’asimmetria resta elevata anche per le economie sviluppate, rendendo urgente per l’Europa lo sviluppo di una propria sovranità energetica.

        In questo contesto, l’Italia affronta sfide decise. Le imprese nazionali sopportano bollette energetiche superiori ai concorrenti europei, principalmente per l’eccessivo peso del gas nel mix di generazione, pari al 50% contro il 20% della media europea. Tale squilibrio si traduce in costi di generazione doppi rispetto a Francia e Germania, aggravati da forte volatilità dei prezzi e dalla dipendenza estera negli approvvigionamenti. Le conseguenze sono particolarmente significative per le imprese energivore, che posticipano investimenti o delocalizzano, anche a seguito di acquisizioni da parte di operatori stranieri, alimentando il rischio di deindustrializzazione.

        Di fronte a queste criticità, diventa prioritario accelerare lo sviluppo delle rinnovabili attraverso uno snellimento drastico degli iter autorizzativi e la valorizzazione di superfici inutilizzate come tetti industriali e parcheggi. Altrettanto fondamentale è facilitare i contratti diretti tra produttori ed imprese attraverso piattaforme digitali dedicate. Parallelamente, il rilancio della filiera nucleare nazionale passa attraverso tecnologie innovative come i reattori modulari di piccola taglia (SMR) e, in prospettiva, la fusione nucleare; si tratta però di una strada che ha bisogno di scelte coraggiose da parte della politica e di trasparenza verso l’opinione pubblica.

        L’evoluzione tecnologica offre ulteriori opportunità: l’accessibilità crescente delle batterie richiede un ripensamento complessivo del mercato energetico, rendendolo più flessibile e integrato con le tecnologie digitali. Risulta cruciale promuovere modelli industriali basati su autoproduzione e gestione intelligente dell’energia, permettendo alle imprese di svincolarsi almeno parzialmente dalla volatilità del mercato.

        Tuttavia, senza un’adeguata riforma istituzionale, questi interventi rischiano di rimanere inefficaci. L’eccessiva complessità normativa rappresenta oggi una barriera strutturale che richiede una riforma radicale per superare l’attuale “darwinismo autorizzativo” puntando su qualità progettuale e meccanismi di selezione preventiva. Una proposta strategica può riguardare la creazione di un ministero dedicato esclusivamente all’energia, in dialogo con i dicasteri dell’ambiente, dell’industria e dell’economia. La pianificazione energetica deve essere, quindi, ripensata in chiave sistemica, adottando il principio di “neutralità tecnologica”: ciò implica la necessità di fissare obiettivi climatici lasciando al mercato la scelta dei mezzi.

        Tutte queste sfide nazionali si inseriscono in un contesto europeo altrettanto complesso, dove la competizione fiscale resta determinante. Mentre l’UE ha stanziato 270 miliardi di euro — prevalentemente prestiti — gli Stati Uniti hanno investito 369 miliardi di dollari in sussidi green diretti attraverso l’Inflation Reduction Act. Anche il carbon pricing mostra forti disomogeneità, con l’Europa che applica tassazioni superiori di diverse volte rispetto ad altre aree economiche. Per questo motivo, la Commissione UE deve garantire stabilità normativa e strumenti di mitigazione del rischio per attrarre investimenti, considerando che in un mercato energetico altamente regolato il prezzo dell’energia spesso riflette più le distorsioni normative che i reali costi di produzione.

        Guardando al futuro, l’elettrificazione dei consumi abbinata allo stoccaggio rappresenta la direzione inevitabile, ma le infrastrutture attuali non sono pronte per una penetrazione massiccia dell’elettrico. Con le tecnologie disponibili, solo un terzo del fabbisogno può essere elettrificato; un altro terzo rimane incerto e il restante dovrà ricorrere a carburanti alternativi. In parallelo, settori critici come l’aviazione richiederanno investimenti enormi — fino a 100 miliardi annui in Europa secondo il Rapporto Draghi — per sviluppare carburanti sostenibili e tecnologie alternative. Anche qui l’UE deve agire rapidamente per evitare dipendenze tecnologiche dalla Cina.

        In definitiva, l’Italia possiede potenzialità uniche per trasformare l’energia da costo a vantaggio competitivo, ma necessita di una regia comune per superare l’attuale frammentazione. La transizione energetica non può essere percepita esclusivamente come un obbligo ambientale, ma deve diventare un’opportunità industriale, economica e strategica. Per questo serve una governance che guardi al lungo periodo, costruisca fiducia tra imprese, investitori e istituzioni, e metta a sistema le eccellenze nazionali in un quadro normativo stabile, efficiente e pragmatico.