Donald Trump o Joe Biden: ancora una volta sono loro i protagonisti per la corsa 2024 alla Casa Bianca. L’interrogativo è noto, ovvero come mai il sistema democratico americano non abbia saputo esprimere un confronto elettorale diverso, anche in termini generazionali. Una riposta potrebbe essere la seguente: sono proprio loro i due Presidenti che hanno cambiato maggiormente, negli ultimi 40 anni, la direzione degli Stati Uniti. Con questi due leader dell’era post-globale, stretti tra la crisi della globalizzazione e la sciagura pandemica, la politica è tornata a contare: nella sua versione più populista con Donald Trump e nella sua versione più keynesiana con il ritorno della politica industriale di Joe Biden. Ad unirli, in ogni caso, l’individuazione di un comune nemico, la Cina con la quale la competizione geopolitica si fa sempre più serrata.
I sondaggi di questo periodo danno Donald Trump in lieve vantaggio (tra l’1% e il 2,5% ) negli swing state come Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, fondamentali per la corsa elettorale di Joe Biden. Il primo dibattito televisivo si terrà – in maniera un po’ insolita rispetto ad altre corse per la Presidenza — nel mese di giugno, ovvero prima delle due Convention. Sempre nel mese di giugno Trump avrà importanti scadenze di tipo giudiziario: evento non centrale ai fini della campagna, ma che, comunque, una qualche ripercussione a favore di Joe Biden potrebbe averla.
Tra i temi che scaldano gli elettori emerge quello dell’aborto, un cavallo di battaglia dei democratici che, ad esempio, negli swing states hanno investito su questo argomento tra il 50 e il 90% del budget dedicato agli spot elettorali. A mettere in difficoltà i democratici sarà anche il nodo dell’immigrazione: l’atteggiamento più “umanitario “di Joe Biden, giusto da un punto di vista etico, si sta però rivelando un boomerang politico, portando sempre più immigrati ad entrare negli Stati Uniti e a premere ai confini con il Messico. Biden ha obiettivamente un problema molto serio da gestire in questi ultimi mesi di campagna elettorale. Altrettanto difficile sarà, per i democratici, la delicata questione della guerra in Medio Oriente e soprattutto la situazione di Gaza che ha aperto nelle università, e non solo, una corposa fronda democratica nei confronti della politica del Presidente.
Molto del confronto elettorale sarà giocato anche sul fronte economico. In primo luogo, l’elettore americano non percepisce gli effetti delle decisioni prese da Biden come il sostegno agli investimenti e le misure di politica industriale. Oltre il 70% della popolazione non apprezza l’andamento dell’economia. Dopo un primo periodo di crescita post-pandemia al 4%, ci si attende a breve un soft landing con una crescita prevista inferiore al 2%, o anche meno. Invece, con un indebitamento arrivato al 150%, l’unico mezzo efficace di bilanciamento dovrebbe essere una crescita pari almeno al 3%.
Comunque la si guardi, il tema centrale dell’economia resta l’inflazione, attualmente intorno al 4%. E non c’è da fidarsi di chi la considera sotto controllo per via della crescita dei salari, perché non bisogna dimenticare che il potere di acquisto americano ha subito una perdita tra il 30 e il 40%. Nel bilancio della classe media le tre componenti di spesa principali — ovvero casa, benzina e alimentazione, non secondarie nella definizione delle scelte elettorali — sono considerevolmente aumentate: i mutui sono passati dal 2% all’8%, la benzina ha un costo superiore intorno al 40% e le spese alimentari sono quasi raddoppiate. Resta il fatto che, secondo molti osservatori, il futuro dell’economia americana sarà determinato soprattutto dall’inflazione.
In campo internazionale i due candidati esprimono un comune sentire per un aspro confronto con la Cina, soprattutto per quanto riguarda il contrasto sulla proprietà intellettuale che costituisce l’asse portante del vantaggio tecnologico americano. Su altri temi le posizioni divergono: Joe Biden continuerà una politica dialogante con l’UE sia su questioni commerciali che sulla politica estera; Donald Trump, invece, darà avvio a politiche commerciali più aggressive per dividere gli europei. Insisterà, inoltre, perché, con due guerre ai confini, questi aumentino le spese per la difesa, liberando sempre di più gli Stati Uniti da quello che considera un gravoso e poco fruttuoso impegno militare e finanziario. La nuova leadership europea, che uscirà dall’importante scadenza elettorale di giugno, è chiamata allora a ridefinire e rilanciare la relazione transatlantica che non potrà non essere nuovamente un pilastro delle scelte internazionali del Vecchio Continente.