L’Italia? Migliora, ma non troppo
Intervista a Federico Golla
Un Paese con molte potenzialità, ma anche con tanti freni, chiamato ad aumentare la competitività per non diventare un museo a cielo aperto. Federico Golla, Presidente e Amministratore Delegato di Siemens in Italia, conferma che l’immagine del Paese, presso il pubblico internazionale e gli investitori esteri, è migliorata. Eppure il quadro richiede ancora qualche cautela: per vincere la sfida della ripresa, infatti, non solo bisogna superare i problemi tradizionali dell’Italia (dall’incertezza normativa al costo dell’energia), ma anche valorizzare al meglio il capitale umano, che rimane uno degli elementi di attrazione per gli investitori internazionali.
Quale percezione hanno oggi i grandi gruppi internazionali dell’Italia e del mercato italiano?
Io distinguerei fra la percezione del mercato italiano e la percezione del Paese-Italia. Sono due cose che non sempre vanno di pari passo. La percezione del Paese è migliorata perché c’è l’impressione che stiamo andando in direzione di una maggiore stabilità e dinamicità. Il successo di Expo ha contribuito a migliorare questa percezione, dando l’immagine di un Paese capace di raggiungere gli obiettivi che si è prefissato.
Più complessa è la situazione del mercato italiano: il PIL sta dando segnali positivi, e così l’export delle imprese, aiutato anche dalla svalutazione dell’euro, ma vediamo ancora tante aziende in difficoltà. Il quadro è di moderato ottimismo, ma dopo aver affrontato una crisi molto lunga – sicuramente più lunga delle aspettative – un po’ di cautela è d’obbligo.
È, dunque, conveniente per le multinazionali investire in Italia?
Il primo quesito da porsi è se c’è convenienza a investire in Europa, quando nel mondo ci sono mercati sicuramente più dinamici e promettenti. Nel contesto europeo, poi, l’Italia non rappresenta sicuramente un Paese di prima scelta: non solo il costo del lavoro e quello dell’energia, ma esistono anche altri ostacoli ben noti come l’incertezza delle regole e l’elevata pressione fiscale.
Siemens è in Italia dal 1898 e oggi ha 3.000 dipendenti e fabbriche in diverse parti del Paese: ci consideriamo un’azienda italiana. Siamo radicati e per noi quello italiano è un mercato importante, fra i primi 10 al mondo; anche per questo abbiamo investito in strutture e centri di ricerca esistenti. Certo, una cosa è consolidare una presenza storica come la nostra, un’altra è scegliere di entrare nel mercato italiano ex novo. Tuttavia, se l’Italia non è competitiva per i fattori che abbiamo elencato, lo è per la qualità delle persone, per la formazione, per tutto ciò che è relativo al fattore umano. Quella fantasia e quella capacità di innovare che si possono trovare qui, aiutano sicuramente ad attrarre nuovi investimenti.
Come giudica l’acquisto di gruppi italiani da parte di investitori stranieri?
Credo sia un’opportunità da cogliere. Le multinazionali guardano al mondo nel suo complesso, ragionando per mercati verticali, e quando effettuano investimenti in Italia è perché hanno trovato occasioni valide. I rischi possono esistere, ma sono legati ad una scarsa competitività: l’arrivo di capitali esteri, infatti, è la logica conseguenza di un mercato aperto. Certo, non si può pensare che i grandi gruppi stranieri diventino la soluzione sistemica per sopperire alle mancanze di un tessuto industriale molto frammentato.
Tecnologia e patrimonio storico – culturale: un binomio difficile per l’Italia?
La cultura, le radici, la storia sono un grande valore dell’Italia e dell’Europa, ma contengono un grande rischio: l’assuefazione e l’incapacità di adattarsi ai tempi. Tutta Europa, e non solo l’Italia, è al bivio fra opportunità di sviluppo e la trasformazione in un grande museo a cielo aperto. Se continuiamo a parlare di storia e non sappiamo intraprendere industrialmente la strada dell’innovazione e della competitività rimarremo imprigionati in questo museo. Se, invece, riusciamo a mettere a fattore comune i valori che hanno creato la cultura europea – in molti casi proprio valori di innovazione scientifica – possiamo rilanciare lo sviluppo economico e industriale. Solo così siamo in grado di competere con sistemi molto concorrenziali come quello asiatico o quello americano che, nonostante abbia generato la crisi, ha recuperato molto più rapidamente. La partita è a 360 gradi e i valori di successo sono sempre gli stessi: innovazione, valore economico del prodotto e qualità delle persone. Anche se il mondo cambia a una velocità spaventosa, questa è una ricetta che dura da quando è iniziata l’era industriale.