Italia, tornano gli investimenti stranieri
Intervista a Marco Fortis
La fine della recessione nel quarto trimestre del 2013, lo spread in caduta libera, i segnali di ripresa del mercato immobiliare, le privatizzazioni: come spiega il Wall Street Journal nel suo seguito blog MoneyBeat, “gli investitori guardano all’Italia e sono contenti di ciò che vedono”. L’Osservatorio Stampa Estera del sito di Aspen Institute Italia ne ha parlato con il professor Marco Fortis, socio dell’Istituto e Vicepresidente della Fondazione Edison.
A cosa dobbiamo le notizie positive sull’economia italiana? Ad una riscoperta dei punti di forza del Paese o al ritorno degli investitori verso i Paesi periferici dell’eurozona?
Credo che il rinnovato interesse con cui dall’estero si guarda all’Italia sia soprattutto legato al ritorno degli investitori sui mercati periferici. Per mettere in evidenza, a livello internazionale, tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni dall’Italia – e sono davvero molti – dovremmo esserne consapevoli noi per primi. E questa consapevolezza spesso manca.
Il nostro Paese, negli ultimi 22 anni, ne ha registrati 21 di avanzo statale primario, al netto cioè degli interessi sul debito, e in 14 di questi l’avanzo è stato superiore al 2% del PIL. Potremmo definirlo un record mondiale. Se, infatti, avessimo smesso di pagare gli interessi nel 1996 ora il nostro debito sarebbe al 49% del PIL; ma basta anche pensare che se negli ultimi anni avessimo pagato gli stessi interessi della Germania, ora il nostro debito pubblico si aggirerebbe più o meno intorno al 100% del PIL. Insomma, non abbiamo niente da invidiare a Berlino, visto anche che dal 1996 al 2013 l’Italia ha generato un avanzo statale primario cumulato pari al 47% del PIL, mentre la Germania è arrivata solo al 16%.
Quanto conta per l’immagine italiana l’Oscar vinto da “La Grande Bellezza”? Un punto a favore o un ritorno agli stereotipi?
Gli stereotipi in sé, specie se positivi, possono anche non essere un problema. È necessario, però, completarli con una narrazione più ampia e completa del Paese. Il problema è che la percezione negativa spesso associata alla nostra economia non può essere cambiata in poco tempo. E a volte basta un crollo a Pompei per mettere in ombra i molti sforzi fatti dal Paese. Perciò dovremmo usare questo momento di grazia per fare una comunicazione seria su quello che l’Italia ha fatto ed è capace di fare.
Quanti al mondo sanno che siamo una vera e propria potenza nella farmaceutica, con un export che raggiunge i 15 miliardi di euro? E che in questo settore la forza è addirittura maggiore rispetto a quella di un’eccellenza tradizionale del made in Italy, come l’abbigliamento, in cui esportiamo 14 miliardi?
Ecco, la storia del settore farmaceutico è un paradigma utile per capire i punti di forza dell’Italia e la capacità che il Paese ha di attrarre investimenti: dove ci sono le condizioni, le capacità e la convenienza, i grandi gruppi stranieri non badano ai limiti della burocrazia. Molti grandi multinazionali farmaceutiche – come dimostrano i casi di Ascoli Piceno, Latina o Frosinone – continuano a investire sull’Italia. E nel farmaceutico il nostro Paese è, al momento, uno dei posti migliori in Europa per rapporto fra qualità e costo del personale. L’opposto di quello che succede in altri settori. Eppure nessuno parla di questo made in Italy che è frutto di ricerca e innovazione.
Se il problema è la comunicazione, come impostare allora un rilancio del brand Italia?
Bisogna evitare una comunicazione istituzionale poco efficace e pubblicizzare davvero quelli che sono i punti di forza del Paese. Siamo primi, secondi o terzi per bilancia commerciale in mille prodotti? Bene, mettiamo dei manifesti davanti alle sedi delle nostre istituzioni in giro per il mondo e spieghiamolo. Dobbiamo far capire che, oltre a Fellini, in Italia c’è anche la farmaceutica; insieme a “La Grande Bellezza” c’è una leadership mondiale nelle macchine da imballaggio. Riunire tutto questo in un solo Paese indica una grande capacità di innovazione. È una tradizione italiana che risale a Leonardo o a Galileo e che continua anche oggi: siamo la seconda potenza industriale d’Europa e, sul fronte del commercio estero, possiamo contare sul quinto surplus manifatturiero al mondo. Non dobbiamo dimenticarlo.