Ridurre lo spreco di risorse e puntare su un’economia del riuso che valorizzi le produzioni e i servizi locali. Questo l’obiettivo della Commissione Europea che ha appena lanciato alcune proposte intese a sviluppare “un’economia più circolare” nel Vecchio Continente. Un modello – spiega al sito di Aspen Renzo Tomellini, a capo dell’Unità “Materiali” della Commissione *– che non distrugge ricchezza, anzi la genera, con la possibilità di creare un numero significativo di nuovi posti di lavoro.
Cosa si intende per economia circolare?
Si tratta di un sistema che permette di mantenere il valore delle risorse più a lungo possibile. Questa idea si basa su un nuovo sistema industriale che sia di tipo “rotativo”, che produca idealmente zero rifiuti, integrandosi bene con altri paradigmi economici, come l’economia verde. Tale sistema industriale deve basarsi su una maggiore efficienza delle risorse e implica un cambio radicale nei modelli di business: si tratta di un processo possibile grazie ai cambiamenti tecnologici in atto e implementabile solo con un approccio di sistema.
La crisi aiuta un cambio di paradigma radicale?
La produttività delle risorse, nel periodo 2001 – 2011, è aumentata in Europa del 20% e possiamo supporre che la crisi abbia giocato un ruolo in questo mutamento. Se si continuasse su questa strada potremmo arrivare ad un ulteriore incremento del 30% entro il 2030. Da solo questo aumento di produttività potrebbe generare una crescita dell’1% del PIL europeo e 2 milioni di posti di lavoro aggiuntivi. Si tratta di miglioramenti notevoli rispetto al business as usual che, in uno scenario contraddistinto da una maggiore pressione sulle risorse naturali, permetterebbero all’Europa di proporsi come modello di sviluppo sostenibile. Un obiettivo a cui la Commissione già punta anche grazie a programmi di azione in ambito ambientale come “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta”.
Un’economia del “riuso” rischia di rallentare la ripresa?
Questo modello non distrugge ricchezza, anzi la crea. Per comprenderlo dobbiamo separare però l’idea di sviluppo da quella di consumo delle risorse. Partiamo da un esempio banale come quello di una vecchia auto. Il denaro necessario per acquistarla va a pagare le risorse con cui è stata prodotta; più l’auto dura, invece, più le spese a essa legate servono alla sua manutenzione, e quindi a produrre vantaggi per un’economia che non consuma nuove risorse e dà ricchezza e lavoro a livello locale.
Certo non è detto che il passaggio verso un’economia circolare sia semplice. Eppure i dati che ci arrivano da altre economie, come gli Stati Uniti, indicano che il re-manufacturing può essere un elemento importante della ripresa. Fra il 2009 e il 2011 in America questo settore è cresciuto del 15%, con un giro di affari pari ad almeno 43 miliardi di dollari e 180 mila nuovi posti di lavoro full-time. Ci dobbiamo dimenticare, insomma, un mondo standardizzato in cui “one size fits all” e puntare sui nuovi mercati che si possono aprire a livello locale.
In che modo un’economia circolare può affermarsi in Europa?
Uno dei punti cardini delle proposte della Commissione sono i rifiuti: un loro migliore utilizzo e un più efficiente riciclo non solo potrebbe produrre 580 mila nuovi posti di lavoro, ma aiuterebbe anche a risparmiare moltissime risorse. Basti pensare che fra i nostri rifiuti elettronici c’è una densità d’oro superiore a quella di una miniera. In generale, aspettando che le proposte legislative della Commissione passino al Consiglio e al Parlamento europeo, è ovvio che più consapevoli sono i cittadini di un Paese, più questo potrà progredire verso un’economia circolare. I traguardi fissati dalla Commissione e inseriti in Europa 2020 non sono impossibili; anzi sono stati promossi per il fatto di essere perfettamente raggiungibili. Non esiste però una ricetta unica per tutti i Paesi: è necessario un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori possibili.
Renzo Tomellini è a capo dell’unità “Materiali” della Commissione Europea. Laureato a pieni voti in Chimica presso l’Università di Roma “La Sapienza”, Tomellini è entrato nella Commissione Europea nel 1991 per gestire il programma di ricerca CECA-acciaio.
* Le opinioni espresse in questa intervista appartengono esclusivamente all’intervistato e non rappresentano necessariamente una posizione delle istituzioni europee, né le impegnano in alcun modo.