Se è vero che burocrazia e incertezza delle regole possono spaventare gli investitori esteri è altrettanto vero che l’Italia rimane un Paese guardato con interesse, grazie alla qualità delle produzioni, al know-how e alla flessibilità del capitale umano. Da questi punti di forza, spiega Marco Vidali – Executive V.P. North America and APAC Photo division del gruppo britannico Vitec, con responsabilità di presidente di Manfrotto Distribution negli Stati Uniti – si dovrebbe partire per fare sistema, attrarre capitali e trattenere i talenti, facendo leva sui casi di successo.
Investimenti esteri in Italia: perdiamo know-how e occupazione oppure capiamo l’opportunità?Ci sono opportunità e ci sono anche rischi. Un caso di successo è l’acquisizione che Vitec Group ha realizzato nel 1989, aggiudicandosi una storica azienda vicentina come Manfrotto. Vitec avrebbe potuto portare la produzione nel Regno Unito, spostando anche il quartier generale. E invece ha acquisito la società, lasciando tutto in Italia per non perdere il know-how e l’ingegno italiano. Non solo, ha continuato anche a investire: da poco abbiamo riportato una parte della produzione dalla Cina in Veneto e abbiamo acquisito il nostro principale competitor. Insomma l’investimento di una multinazionale britannica ha reso un’azienda italiana leader di mercato.
Quali svantaggi e quali vantaggi esistono nell’investire in Italia?
Il rischio principale è la burocrazia, un vero e proprio labirinto. Gli investitori esteri faticano a comprendere il fatto che, in Italia, le regole possono cambiare continuamente. Eppure vengono qui perché le opportunità sono enormi, a maggior ragione se riescono a trovare bravi manager locali che conoscono bene il contesto italiano. Inoltre, un vantaggio non secondario è il costo del lavoro davvero competitivo, abbinato con l’efficienza e un posizionamento di mercato premium in molti settori. Grazie a questo, il made in Italy offre vantaggi nelle esportazioni con un valore ben riconosciuto non solo dal consumatore finale, ma anche negli scambi b2b.
Come giudica la politica industriale italiana?
In primo luogo ci vuole una maggiore flessibilità del mercato del lavoro; altri aspetti, poi, su cui intervenire sono i vantaggi fiscali e la semplificazione della normativa contrattuale, fiscale e amministrativa. Chi investe, insomma, deve sapere quanto tempo ci metterà a realizzare i propri piani e quale sarà il conto finale. Per capitalizzare al meglio gli investimenti esteri credo sia anhe necessario che il Paese punti su settori e progetti specifici, facendo leva su casi di successo.
L’Italia è ancora un paese competitivo dove produrre e fare ricerca?
Noi, in Manfrotto, continuiamo a produrre innovazione e penso che in fondo la genialità italiana compensi i ritardi del sistema Paese. La sfida di tutto il sistema industriale è quella di trattenere – o di attrarre – i giovani migliori perché non vada perso il know-how delle nostre aziende. I rischi maggiori sono, a mio avviso, nel mondo dell’elettronica dove è più forte la competizione dei grandi centri di attrazione come la Silicon Valley, un vero magnete per le start-up italiane ed europee. Eppure quello della tecnologia è un mondo in continua evoluzione in cui le carte si mescolano continuamente: se l’Italia riuscisse a fare investimenti concreti e a creare infrastrutture adeguate, sono convinto che il successo in termini di presenza straniera sarebbe superiore.
Quali competenze cercano le grandi aziende e che modello formativo prediligono? L’università ai miei tempi era molto teorica. Io però ho passato tre dei cinque anni di studio all’estero e queste esperienze, in particolare quella negli Stati Uniti alla UCLA, mi hanno dato moltissimo. È stata però la prima esperienza lavorativa in una grande multinazionale il momento in cui ho imparato di più. Per questo sono convinto che dovremmo offrire ai nostri giovani più esperienze concrete. Spesso i giovani italiani, proprio perché hanno dovuto affrontare in prima persona le difficoltà relative al sistema formativo, sviluppano doti molto apprezzate all’estero. In Asia viene molto premiata la flessibilità, la capacità di sopravvivenza che gli italiani hanno più di altri. In Cina, poi, questo è un elemento chiave per avere successo. Il problema è, ancora una volta, che si tratta di una capacità del singolo e non di una virtù del sistema. Insomma, abbiamo persone capacissime, ma spesso non riusciamo a farle lavorare insieme. Dovremmo, invece, trovare il modo di approfittare al meglio dei talenti, a vantaggio di tutto il Paese.