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La tv non è in crisi, ha solo cambiato casa. Intervista a Giorgio Stock

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    • 31 Ottobre 2019
    • Ottobre 2019
    • 31 Ottobre 2019

    La televisione non è morta: ha cambiato casa. Con il declino del modello di fruizione basato sui palinsesti lineari, la produzione di serie televisive sta conoscendo un nuovo rinascimento grazie alle piattaforme multi-schermo. L’aumento della domanda di storie nuove e di contenuti locali è un’opportunità – spiega Giorgio Stock Presidente di WarnerMedia Entertainment Networks, Distribution and Advertising Sales per le regioni Europa, Africa, Medio Oriente e Asia Pacifico  – che l’Italia dovrebbe cogliere: non solo per raccontare l’arte e la cultura del Belpaese, ma anche per proporre una realtà vibrante e moderna ai giovani spettatori internazionali, che sono turisti e consumatori potenziali.

    Come si sta trasformando l’industria televisiva?

    Il mondo é cambiato enormemente negli ultimi anni e il settore dei media non è stato da meno. Il  modello di business analogico offriva poche scelte e palinsesti fissi e le reti televisive potevano contare su consumatori che si sintonizzavano ad orari determinati come accadeva per bambini e ragazzi. Due ore al giorno a loro dedicate in momenti prestabiliti.

    Oggi, solo per i ragazzi, esistono 20 canali lineari – quelli per intenderci basati su un palinsesto fisso – a cui si aggiungono le piattaforme on-demand come Netflix o la nostra HBO Now e le altre realtà come YouTube che offrono contenuti e modalità ancora diverse. Insomma il consumatore è diventato padrone della situazione.

    In questo contesto solo le aziende che si trasformano hanno un futuro, perché il futuro è dettato dai consumatori più giovani e dalle piattaforme. WarnerMedia, ad esempio, non può più essere definita un broadcaster, grazie alla forte presenza nella televisione non lineare: CNN ha più spettatori su altri schermi che sulla televisione tradizionale e lo stesso vale il 40% del giovane pubblico di Cartoon Network.

    Niente morte della televisione quindi?

    Non direi proprio: anzi, le produzioni televisive stanno conoscendo un vero e proprio rinascimento. Dieci anni fa si producevano in America 100 serie televisive all’anno, oggi siamo a 500. Una volta la televisione faceva fatica ad attrarre i migliori sceneggiatori, attori produttori. Oggi i talenti scelgono la TV perché con l’aumento dei prodotti è aumentata la qualità e le serie televisive riescono a raccontare storie che il cinema non riesce o non vuole raccontare più.

    Questo si spiega perché le nuove piattaforme stanno puntando molto sulle storie e sui contenuti locali. Gli investimenti stanno aumentando non solo negli Stati Uniti o in Inghilterra, ma anche in altri Paesi una volta più periferici per l’industria televisiva globale come Germania e Spagna. I consumatori, soprattutto quelli più giovani, cercano storie diverse e contenuti nuovi rispetto ai soliti programmi internazionali che vengono poi modulati volta per volta per il mercato locale.

    Cosa può offrire l’Italia?

    L’Italia si è mossa con più lentezza di altri Paesi europei perché non esistono attori locali in grado di fare investimenti consistenti. In altri Paesi esisteva un’industria forte, desiderosa di raccontare  storie locali che ha visto negli attori internazionali un’opportunità  per aumentare gli investimenti.

    Eppure c’è margine di recupero: gli operatori internazionali guardano con interesse a un mercato importante come quello italiano. Oggi, in un settore che si è aperto e vede crescere i consumi, chi scrive delle buone sceneggiature in Italia ha la fila davanti alla porta. Altri stanno cercando di professionalizzarsi per fare il salto di categoria ed entrare nelle Serie A delle produzioni televisive, dove si investono 1,5 milioni di dollari o più a episodio. Così si riesce a confezionare un prodotto forte sul mercato locale e capace di essere venduto all’estero.

    Troppo piccoli per essere competitivi?

    Non è un problema solo italiano. Gli investimenti sia a livello di prodotto (con tecnologia e user experience delle piattaforme) sia a livello di contenuti devono avere oggi una taglia globale. Anche il solo mercato americano è troppo piccolo per generare da solo ritorni adeguati. Eppure la specializzazione degli operatori su un segmento della catena del valore e la combinazione fra operatori diversi offre soluzioni interessanti. E ciò è vero anche in Italia che è un mercato interessante inserito in un contesto globale. L’importante per gli operatori – italiani o internazionali – è mantenere uno sguardo sul futuro.

    Le decisioni strategiche non si possono prendere guardando solo il modello di business del momento. Anni fa quando noi investimmo su YouTube ci fu molto scetticismo, perché i nostri ricavi erano nei palinsesti tradizionali o nella televisione a pagamento. Oggi la scelta ha ripagato perché ci ha permesso di conoscere un pubblico che cresce e che ha gusti e modalità di fruizione totalmente diversi: per un bambino un video di unboxing, in cui un giocattolo viene tolto dalla scatola, montato e mostrato può essere più interessante di una storiella animata di cinque minuti. Capirlo, e proporre di conseguenza i contenuti che questo nuovo pubblico cerca, significa rimanere al passo con i tempi e con il futuro del settore.

    Serie televisive di successo sono un volano per il turismo?

    Certo, ed è vero da sempre. Quanti di noi sono andati a New York, Los Angeles o Monument Valley perché sono cresciuti guardando quel mondo? L’Italia avrebbe tutti i vantaggi dal comunicare l’immagine di un Paese non solo bello per il turismo, ma anche contemporaneo, vibrante. Interessante, insomma, non solo per il professionista o il pensionato amanti della storia e dell’arte, ma anche per un pubblico più giovane e dinamico. La televisione può e deve svolgere questo ruolo insieme agli altri operatori che si affacciano al settore, come le compagnie telefoniche. In Italia è un mercato rilevante, sia per l’ampiezza della popolazione sia per il tasso di consumo. La domanda di storie nuove da raccontare sia al pubblico locale che a quello internazionale è alta. Non resta che cogliere l’opportunità.

     

     

    Giorgio Stock è Presidente di WarnerMedia Entertainment Networks, Distribution and Advertising Sales per le regioni Europa, Africa, Medio Oriente (EMEA) e Asia Pacifico. Anteriormente è stato Executive Vice President & General Manager di Disney Consumer Products, Publishing and Retail (EMEA) e  Corporate Vice President di Bertelsmann AG, presso il quartiere generale tedesco. Ha una laurea in materie scientifiche alla New York University e un duplice MBA (Master of Business Administration) e MIA (Master of International Affairs) presso la Columbia University.