L’Asia-Pacifico è una regione vasta ed eterogenea, ma con grandi opportunità per le aziende italiane. Il mercato delle infrastrutture è in crescita e rimane alto l’interesse per il lusso e le produzioni del made in Italy, ad iniziare dall’agroalimentare. Spiega Andrea Monni, partner di Algebra – società specializzata nei servizi di supporto ad aziende italiane nella regione Asia-Pacifico, che le aziende dovrebbero avviare un progetto serio di investimento, basato sulla consapevolezza che l’internazionalizzazione e il controllo della filiera nel caso dei beni di consumo, sono fattori essenziali per la crescita e la competitività.
Quali opportunità esistono per le imprese italiane nella regione Asia-Pacifico?
In Asia Pacifico già operano grandi gruppi italiani e stanno arrivando anche piccole e medie aziende. Alla base di tutto, per approfittare delle opportunità offerte da questi mercati, ci vuole un progetto solido con un grande sostegno della casa-madre italiana. Spesso le aziende commettono l’errore di inviare in Asia persone con troppa poca esperienza o con ruoli marginali nell’organizzazione aziendale. Per aprire davvero questi mercati è necessaria una persona capace, con una buona esperienza e una grande conoscenza della cultura e dei processi aziendali. All’inizio può bastare solo questo: una persona con competenze, capace di esplorare i mercati, elaborare strategie di marketing (nel caso dei beni di consumo e della moda) e di lavorare sulle relazioni pubbliche (fondamentali nel caso delle infrastrutture).
Quali settori del made in Italy hanno più mercato nella regione?
Per le eccellenze del made in Italy, in tutti i settori, il mercato non manca e questo è ancor più vero se guardiamo al lusso. Certo, i macro-mercati dell’Asia-Pacifico hanno alcune peculiarità: Giappone e Corea sono maturi e sofisticati al pari di quelli occidentali, altri Paesi offrono, invece, mercati meno segmentati in cui la fascia media di qualità e prezzo fa più fatica. In molti casi i prodotti devono essere ben riconoscibili come beni di lusso, perché questi acquisti servono a dimostrare il crescente benessere di una fascia di consumatori. Vediamo, nelle collezioni dei grandi marchi, come il brand tenda ad essere più grande e visibile e questa è una richiesta propria del mercato asiatico, soprattutto per quanto riguarda gli accessori.
Ma non c’è solo il lusso: mercati come Singapore e Indonesia in pochi anni hanno aumentato notevolmente l’attenzione verso le produzioni agroalimentari di qualità, mentre tutta la regione è interessata da grandi progetti infrastrutturali dove le aziende occidentali – e italiane – possono cogliere diverse opportunità. Oltre alla Nuova Via della Seta, che interessa soprattutto la parte continentale dell’Asia, si sta creando un clima favorevole agli investimenti infrastrutturali in diversi Paesi, ad iniziare da Filippine, Indonesia, Tailandia e Vietnam.
Le tensioni commerciali fra Cina e Stati Uniti possono essere un rischio per le aziende italiane?
La situazione è complessa e in continua evoluzione, ma lo scenario che si sta delineando è quello di un progressivo derisking di molte aziende che iniziano ad investire in altri Paesi della regione per evitare l’imposizione di dazi alle produzioni cinesi. Questa ancora una volta è un’opportunità per le aziende italiane: da un lato si costruiranno nuovi stabilimenti e nuove infrastrutture, soprattutto nel Sud-est asiatico; dall’altro i nuovi investimenti accelereranno la crescita dei mercati dal punto di vista dei beni di consumo. Inoltre in tutta la regione, e nel Sud-est asiatico in particolare, cresce la propensione a migliorare gli scambi e ad unire Paesi e mercati. Un processo che deve suscitare attenzione, soprattutto se visto da un’Europa che appare sempre più divisa.
In mercati geograficamente e culturalmente lontani come quelli dell’Asia-Pacifico come riescono a crescere le nuove generazioni di manager italiani?
Si parla molto e in termini spesso contrastanti della qualità della formazione universitaria italiana. A mio modo di vedere il livello medio è buono e assolutamente in linea con quello degli altri grandi Paesi occidentali. La vera differenza è l’esperienza post-laurea, su cui l’Italia rimane in ritardo. È necessario investire ancora, sulla scia del buon lavoro fatto già da alcuni atenei, sulla creazione di un sistema di supporto ai neolaureati in forma di network di Alumni. Il vero problema però è che mancano opportunità professionali interne alle aziende, spesso poco internazionalizzate e poco disposte a investire nei giovani e nella formazione continua. Non è solo una questione di dimensioni e di capacità di investimento. Esiste una vera e propria criticità culturale, soprattutto nel settore dei beni di consumo. Vedo aziende che si percepiscono ancora come meri “fabbricatori”, il cui lavoro finisce quando è pronto il prodotto. Questo modello fondato esclusivamente sui distributori può essere confortante, ma ormai non esiste più. Qui a Singapore ad esempio nessun distributore investe più nello sviluppo di un marchio: ci sono troppi rischi e forse ormai anche scarso interesse da parte delle aziende, Per preservare il brand, infatti, bisogna controllare tutta la filiera: più imprese italiane lo capiranno e maggiori saranno, per loro e i loro manager, le opportunità in Asia.
Andrea Monni è partner di Algebra, società specializzata nei servizi di supporto ad aziende italiane nella fase di avvio e sviluppo nella regione Asia-Pacific; è inoltre Co-Founder & Managing Partner di Blue Spark Hub, un programma di scale-up in Asia per start-up europee. Andrea ha oltre 15 anni di esperienza nel business development in Cina e nel sud-est asiatico, in vari settori industriali, dal lusso alla distribuzione, dalla logistica all’energia, fino alle tecnologie digitali.