L’Italia sarà in grado di rilanciare il suo sistema economico solo combattendo una battaglia seria contro la sempre più diffusa tendenza a demonizzare gli esperti e per una valorizzazione del talento sottoutilizzato delle donne. A spiegarlo è Tommaso Valletti, direttore del Dipartimento di Economia e Politiche pubbliche all’Imperial College Business School di Londra, con un passato da Chief Competition Economist alla Commissione Europea.
I ritardi nel raggiungimento della parità di genere impattano sulla performance economica del Paese?
Secondo l’ultimo indicatore dell’UE siamo sotto la media europea. Peggio ovviamente dei Paesi scandinavi, ma anche di Francia, Regno Unito e Spagna, Paesi coi quali ci confrontiamo direttamente a livello dell’economia. Una grossa differenza, non sempre evidenziata, riguarda i tempi di lavoro: tenendo conto anche delle attività non retribuite (tipicamente domestiche) ogni donna italiana lavora in media un’ora e dieci minuti in più di un uomo, tutti i giorni. La traiettoria verso la parità è evidentemente positiva, ma c’è ancora molto da fare. Bisogna abbattere barriere culturali visto che nel nostro Paese gode ancora ampio consenso una visione tradizionalista dei ruoli di genere e che viene introiettata anche dalle donne. Col tempo io personalmente sono divenuto sempre più a favore delle quote di genere, specie a livello apicale. Lo squilibrio è tanto evidente che la società moderna potrà permettersi di abbandonare le quote di genere solo quando le differenze si saranno abbassate. Del resto c’è anche un principio economico alla base di una soluzione che sembra drastica come questa: il talento è evidentemente diffuso tra le donne quanto tra gli uomini, e stiamo sottoutilizzando quello delle donne. In quelle occasioni in cui nel mio lavoro sono stato coinvolto nella scelta di colleghi da assumere, ho sempre avuto ben presente la questione di genere e ho cercato di fare in modo che ci riflettessero tutti.
Come e perché cresce il movimento antiscientifico in Italia?
Mi preoccupa fortemente un sentimento antiscientifico che è diffuso tra molte persone: il rigetto degli ‘esperti’. È importante che il dibattito democratico si basi sui fatti e che allo stesso tempo gli esperti non siano considerati intoccabili e rispondano alle istanze dei cittadini con un linguaggio comprensibile. L’impronta umanistica che viene dai licei classici è un patrimonio importante del nostro Paese che dobbiamo conservare anche se, a dire il vero, va ad appannaggio di una fetta molto piccola della società. Non mi sembra comunque sia, di per sé, un freno alle competenze scientifiche. L’impianto delle nostre università e dei politecnici è sostanzialmente sano, ma mancano, ed in modo drammatico, risorse allo studio ed alla ricerca. Non vedo purtroppo grossi cambiamenti all’orizzonte.
In che modo il Green New Deal può contribuire a trovare soluzioni alle gravi crisi aziendali, in settori importanti per l’economia nazionale?
Le crisi aziendali non sono solo un fenomeno italiano ma europeo, così come il lento declino che stiamo vivendo e dal quale non riusciamo a districarci. Il problema non è di facile soluzione visto che gli interventi (tramite investimenti, infrastrutture sane, un sistema di educazione all’altezza di un grande paese) sono tutti raggiungibili sul lungo periodo e non danno risultati istantanei. Per cui le risposte sono sempre ad hoc, un po’ raffazzonate e dettate dall’urgenza di singoli episodi.
Una risposta efficace forse c’è, ed è il punto di forza rappresentato dall’Europa. Anche se non sta godendo di molti fan, nel periodo populista e nazionalista che stiamo attraversando, per me è evidente che l’unica vera chance che abbiamo, stretti tra America e Cina, è proprio l’Europa. Possiamo promuovere un modello di società fondata su principi europei che non si basa né sui grandi oligopoli americani né sul controllo e sorveglianza da parte dello Stato come in Cina. Il Green New Deal è proprio quello: un patto intergenerazionale basato sulla cooperazione tra pubblico e privato. È un programma ambizioso della Commissione Von der Leyen. Ma potrà funzionare solo se l’UE e gli Stati membri iniziano sul serio a lavorare insieme anziché attaccarsi a vicenda.
Tommaso Valletti si è laureato in Ingegneria all’Università di Torino e ha conseguito un PhD in Economics alla London School of Economics. È Professore di Economics presso l’Imperial College Business School dove è Capo del Dipartimento di Economics and Public Policy. Dal 2016 al 2019 è stato Chief Competition Economist della Commissione Europea (Directorate General for Competition).