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Con l’innovazione abbiamo portato in biblioteca tutto il quartiere. Intervista a Sergio Dogliani

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    • 3 Agosto 2012
    • Agosto 2012
    • 3 Agosto 2012

    Una biblioteca che abbandona l’immagine polverosa di sempre per diventare un centro polivalente aperto alla vita del quartiere. Sergio Dogliani, direttore di Idea Store, porta avanti nella municipalità di Tower Hamlets, a Londra, un progetto per innovare i servizi bibliotecari associandoli a corsi e iniziative culturali. I risultati nell’East End della capitale inglese – ha spiegato Dogliani al sito di Aspen – sono stati lusinghieri: le utenze sono quadruplicate e anche l’economia locale ha tratto benefici dalla rivitalizzazione del quartiere. Ora, a dieci anni dalla nascita, il progetto sta incontrando un interesse crescente anche in Italia.

    Idea Store è stato definito un “modello di biblioteca per il XXIesimo secolo”. Come nasce questo progetto e in cosa è diverso dalle “vecchie” biblioteche?
    Idea Store nasce a Tower Hamlets, uno dei 32 municipi che compongono la grande Londra. Il contesto locale è stato importante nella nascita di questo progetto, perché quella in cui operiamo è un’area cosmopolita e polarizzata, caratterizzata dalla presenza del centro direzionale di Canary Wharf e, al contempo, di zone con un reddito medio fra i più bassi del Regno Unito. Abbiamo iniziato 10 anni fa e nel 2013 apriremo il nostro quinto centro polivalente: non siamo solo una biblioteca; siamo un luogo di incontro, un salotto sociale aperto fino a tardi con corsi di formazione, iniziative per il tempo libero, caffetterie. Offriamo 800 corsi ogni anno, dallo yoga all’inglese, rivolti sia a chi cerca di migliorare la propria condizione sia a chi vuole solo di coltivare i propri interessi. Insomma, siamo un luogo dove imparare non solo attraverso la lettura, ma grazie a un’amplia scelta di iniziative culturali. L’attenzione è veramente rivolta all’utente al 100% ed è questo che ci rende diversi dalle “vecchie” biblioteche. Il riscontro rispetto alle precedenti strutture, dobbiamo dirlo, è stato molto positivo: dal 1998 ad oggi le nostre utenze annuali, da 550 mila, sono arrivate a superare i 2 milioni.

    La situazione economica sta provocando tagli ai servizi pubblici in molti paesi d’Europa. Come si finanzia Idea Store? Il progetto ha risentito della crisi?
    Siamo un progetto interamente pubblico e il capitale iniziale per la costruzione delle nuove strutture ci è stato dato dal governo britannico, insieme a risorse provenienti dal fondo della lotteria nazionale e dalla vendita delle vecchie sedi. Certamente negli ultimi tempi abbiamo lavorato anche noi per contenere i costi di gestione. Tuttavia, visti i risultati, non siamo stati sottoposti a grande pressione né ci sono stati chiesti sforzi aggiuntivi. I benefici di Idea Store, infatti, non si limitano all’ampliamento dell’offerta culturale. Proprio per la scelta di far sorgere le nuove strutture in punti di facile accesso, sulla strada principale del quartiere e al centro di altre attività di zona, questi centri hanno avuto anche un impatto positivo sull’economia locale. Un luogo di aggregazione, come il nostro, aperto fino a tardi, aiuta a rivitalizzare una strada e, attraendo persone, porta benefici anche ai piccoli commercianti.

    Questo modo innovativo di fare biblioteca si può esportare? C’è qualcuno che ha cercato di applicare, fuori da Londra, gli insegnamenti di Idea Store?
    Il progetto di Idea Store sta suscitando un certo interesse in tutto il mondo. Non tanto nel Regno Unito, dove abbiamo incontrato alcune resistenze – nessun del resto è profeta in patria – , ma soprattutto in paesi come Olanda, Svezia e Danimarca dove sono nate strutture simili alle nostre. E devo dire che ho visto una certa attenzione anche dall’Italia: in Emilia per esempio, a Cavriago, è stata aperto un nuovo centro bibliotecario, Multiplo, che è molto simile al modello di Idea Store. L’interesse credo sia dovuto al fatto che con Idea Store abbiamo cercato di creare un brand che superasse l’idea di biblioteca “vecchia”, percepita come servizio pubblico di secondo ordine, e prendesse invece spunto dagli insegnamenti del settore commerciale. I nostri centri non fanno riferimento in alcun modo alla municipalità, ma si chiamano “store”. È l’attenzione ai clienti tipica dei grandi magazzini applicata alla cultura. L’aumento degli utenti e il fatto che il 56% dei residente ci frequenta abitualmente, l’8% in più della media nazionale, dimostra che questa formula è indovinata.

    È possibile innovare i servizi bibliotecari in Italia? Da dove iniziare?
    Ritengo che la ricetta per innovare i servizi bibliotecari, anche in Italia, si possa comporre di tre ingredienti. Il punto di partenza è smettere di pensare che la cultura sia solo quella con la “C” maiuscola: se si abbandona un approccio elitario le biblioteche possono diventare un luogo per tutti. In secondo luogo bisogna creare un clima che valorizzi le competenze e le energie di chi lavora, uscendo da una logica, ancora esistente in Italia, di servizio pubblico inteso come impiego tutelato e impermeabile alle richieste degli utenti. Noi abbiamo cercato di importare uno stile di lavoro innovativo, non più basato sul rapporto gerarchico, ma sulla creatività e sul coinvolgimento ai fini di un servizio migliore; i nostri bibliotecari sono più “facilitatori” alla lettura che “custodi” di beni culturali. Infine, per far nascere una biblioteca innovativa bisogna puntare su strutture adeguate: l’Italia ha molti edifici di grande pregio e spesso i comuni decidono di localizzare la biblioteca in un bel palazzo antico. È una mossa controproducente se gli spazi non sono adatti o se la sede è difficile da raggiungere: inutile, insomma, avere una biblioteca in una bellissima villa antica se questa è fuori mano e non è frequentata dai cittadini. La biblioteca deve far parte della vita quotidiana. I residente di Tower Hamlets sembrano apprezzarlo.