La pandemia ha obbligato a chiudere per lungo tempo i musei che solo recentemente hanno iniziato a riaprire al pubblico, pur tra mille difficoltà. L’amore per l’arte è stato mantenuto vivo attraverso il digitale che si è rivelato un modo diverso ma efficace di fruirne. Ecco il racconto dell’esperienza di questo difficile periodo e le proposte innovative di Francesca Casadio, Grainger Executive Director of Conservation and Science all’Art Institute of Chicago (le cui risorse sono accessibili a questo indirizzo https://www.artic.edu/visit-us-virtually).
Quale è stato e continua ad essere ruolo dell’arte durante la pandemia?
Con le migliaia di vittime della pandemia e i milioni di disoccupati potrebbe sembrare frivolo parlare dell’arte o della sua importanza. Tuttavia l’arte continua anche in questo periodo ad avere un ruolo fondamentale: ci fornisce un linguaggio intuitivo, emotivo, immediato e profondo per dare un senso al nostro mondo interiore e a quello intorno a noi. Quando ci piace un disegno, una stampa, una scultura, un quadro, a volte diciamo che “ci parla”. Questo linguaggio dell’anima arriva diretto al cuore e ci fa sentire uniti ad altri esseri umani anche mentre eravamo in isolamento nei nostri appartamenti o nel nostro piccolo microcosmo personale. L’arte sviluppa i nostri “muscoli” di empatia: riconosciamo che altri si sono sentiti come noi e hanno incanalato il loro sentire, il loro pensiero in un gesto creativo che diventa, per noi che lo riceviamo, un portale verso altri mondi o uno specchio della nostra anima. In poche parole, l’arte, in un periodo di crisi come quello attuale, ci trasporta altrove e ci fa sentire meno soli.
In attesa di una riapertura completa quali strumenti aiutano la fruizione virtuale delle opere d’arte?
La pandemia ha accelerato in maniera incredibile l’evoluzione del significato della fruizione digitale nell’arte. Le gallerie d’arte e le grandi fiere internazionali si sono organizzate per avere sale virtuali; gli artisti hanno creato opere che, con la realtà virtuale, possiamo far “galleggiare” nel nostro salotto (un esempio eccezionale sono le sculture in augmented reality dell’artista KAWS che chiunque può scaricare gratuitamente su https://app.acuteart.com/); con l’app Google arts and culture posso applicare filtri che trasformano le mie foto nei capolavori di Van Gogh o Frida Kahlo (https://blog.google/outreach-initiatives/arts-culture/transform-your-photo-style-iconic-artist/). Queste sono innovazioni fantastiche che sembravano impossibili solo pochi anni fa.
Come si è organizzato l’Art Institute di Chicago?
All’Art Institute offriamo ai bambini libri da colorare ispirati alla nostra collezione, visite guidate delle parti più importanti del museo, interactive features che permettono di imparare e fare scoperte sorprendenti sulla collezione, visite virtuali alla nostra mostra di El Greco che, a motivo della pandemia, ha chiuso appena una settimana dopo essere stata aperta. Abbiamo blog che suggeriscono film d’arte collegati alla nostra collezione o suggerimenti ai genitori su come riparare i giochi dei bimbi, offerti direttamente dalla nostra restauratrice di opere tridimensionali che generalmente lavora sui capolavori inestimabili. Per gli insegnanti disponiamo di parecchie risorse (https://www.artic.edu/learn-with-us/educators/tools-for-my-classroom/resource-finder), inclusa una di cui sono molto orgogliosa, e cioè piani lezioni Art+Science per insegnanti di arte e scienza. In questo caso emerge il mio background di esperta di chimica che si è specializzata nello studio delle opere d’arte. Anche se oggi il mio ruolo è cambiato e gestisco la ricerca scientifica del settore restauro, sono convinta che i musei d’arte abbiano un enorme potenziale per diffondere l’importanza della scienza nella nostra società. Mi farebbe piacere se, con il potere dell’arte, potessimo ispirare i giovani (e soprattuto le ragazze) a intraprendere carriere in chimica, fisica o ingegneria.
Abbiamo familiarità con le biblioteche digitali. Anche le pinacoteche hanno digitalizzato le loro collezioni?
Progetti di digitalizzazione ormai esistono da qualche anno ed è per questo che quando la pandemia ha colpito, all’Art Institute eravamo pronti. La nostra collezione di oltre 300.000 opere è digitalizzata al 75%, anche in 3D, e ci stiamo organizzando per poter offrire dei programmi che permettano al pubblico di ruotare gli oggetti e vederli da differenti angoli. Questo è già possibile anche nei nostri cataloghi online, che permettono al pubblico di andare virtualmente col naso vicino ad ognuno dei nostri Matisse o Monet (https://www.artic.edu/digital-publications); il tutto senza essere sgridati dalle guardie di sicurezza! Lo scorso anno, poi, abbiamo reso disponibili al pubblico 50.000 di queste immagini (https://www.artic.edu/open-access/open-access-images). Abbiamo poi anche una Chrome extension dell’Art Institute (https://chrome.google.com/webstore/detail/art-institute-of-chicago/abacageipbknolldcoehafgfjamoejad?hl=en-US):ogni volta che si apre il browser si presenta un nuovo oggetto d’arte della collezione. È un momento di gioia, sorpresa e scoperta ogni giorno. Ci si può divertire anche con i motori di ricerca: nella nostra collezione il pubblico può applicare un filtro e selezionare tutte le opere che hanno a che fare con un determinato colore (https://www.artic.edu/articles/773/inspirationtheres-a-filter-for-that-and-more). Offriamo persino background virtuali per Zoom: così invece di essere in teleconferenza dalla vostra camera da letto potete chiamare da quella di Van Gogh. Insomma, anche se per me sarà sempre fondamentale l’esperienza diretta con l’opera d’arte, tutti questi strumenti – inclusi i social media – portano l’arte nel quotidiano di milioni di persone, alcune delle quali non metterebbero mai piede in un museo. E questo per me è meraviglioso.
Esiste un’opera d’arte significativa per il momento che stiamo vivendo?
Scegliere solo un’opera è difficile! All’Art Institute ne suggerirei due: una è Nighthawks di Edward Hopper (https://www.artic.edu/artworks/111628/nighthawks) . Le opere di Hopper sono state citate da molti come il simbolo dell’isolamento che la nostra società sta vivendo per cercare di limitare la diffusione del virus. Il mio museo ha il privilegio di esporne una delle più famose: quello che non forse tutti sanno è che, in realtà, è possibile che quest’opera contenga un messaggio di speranza (chi è interessato puo’ trovare più informazioni qui https://www.artic.edu/articles/808/nighthawks-as-a-symbol-of-hope). Hopper, infatti, amava passeggiare per New York di notte e quest’immagine di un bar illuminato – dipinta dopo i tragici eventi dei bombardamenti di Pearl Harbor nel 1941 quando la città era spessa affetta da esercitazioni di blackout per scongiurare altri attacchi aerei – potrebbe simboleggiare la speranza di ritornare a socializzare in un bar pubblico e illuminato. Non è forse il desiderio che abbiamo avuto in molti dopo tutti questi mesi chiusi in casa?
L’altra opera è Sky above clouds di Georgia O’Keeffe (https://www.artic.edu/artworks/100858/sky-above-clouds-iv) perché mi fa pensare ai lati positivi della crisi, al fatto che il cielo è più blu perché ci siamo fermati tutti. Però mi dà anche la forza di pensare al futuro con ottimismo e sognare quando vedrò di nuovo le nuvole dall’alto, finalmente su un aereo che mi possa portare a visitare la mia famiglia in Italia da cui, in questo momento, mi sento improvvisamente molto più lontana del solito.
Francesca Casadio è Grainger Executive Director of Conservation and Science all’Art Institute of Chicago dove dal 2003 ha fondato il laboratorio di analisi scientifiche per le opere d’arte. Ha ricevuto un dottorato in Chimica dall’Università degli studi di Milano.