Vai al contenuto

Il futuro del lavoro

  • Bologna - Incontro in modalità ibrida
  • 17 Maggio 2022

        Le trasformazioni innescate dalla pandemia offrono l’occasione per realizzare i cambiamenti strutturali che il mercato del lavoro italiano attende da tempo. Se da un lato la diffusione dello smart working può offrire, pur nelle specificità dei singoli settori economici, un’occasione per migliorare la conciliazione con il tempo libero e gli impegni familiari, dall’altro la crisi innescata dal Covid ha avuto pesanti ripercussioni su quelle categorie che già soffrivano condizioni di svantaggio. È il caso dei giovani e soprattutto delle donne che in Italia continuano a registrare tassi di occupazione inferiori al 50%, molto lontani da quelli delle economie europee più avanzate.

        La sfida dell’occupazione femminile deve essere una sfida della società nel suo complesso: penalizzando una parte così importante della popolazione attiva, l’economia nazionale accumula un ritardo che può arrivare fino a 6 punti di PIL. Diventa, quindi, importante indagare le ragioni, organizzative e culturali che portano a tale fenomeno. Al primo posto vi è senza dubbio il differenziale nelle retribuzioni fra uomini e donne, legato inoltre alla mancanza di servizi a sostegno della genitorialità. Ne consegue, come emerge anche dai dati degli ultimi due anni della pandemia, che, a causa del divario retributivo, le lavoratrici sono le prime a lasciare l’impiego in caso di necessità familiari. La difficoltà delle donne, che pur costituiscono la vasta maggioranza dei laureati, a rimanere ancorate al mercato del lavoro e a proseguire la carriera in caso di maternità ha, poi, risvolti nella natalità che in Italia rimane fra le più basse in Europa. La conseguenza è l’invecchiamento e la diminuzione della popolazione, con effetti nuovamente negativi sulla crescita dell’economia e sul benessere generale.

        La ripartenza dopo la pandemia, con le importanti risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), diventa quindi l’occasione per ripensare i meccanismi strutturali che governano il mercato del lavoro, a partire dalla formazione.

        L’Italia deve far leva sui propri punti di forza – iniziando dalla buona base di conoscenze teoriche offerte dal sistema formativo – per orientare efficacemente i giovani alle sfide future. Ciò significa lavorare soprattutto sulla distanza presente oggi fra domanda e offerta di posti di lavoro, concentrandosi in particolare sulla carenza di competenze e di profili scientifici e tecnici (STEM). Questo sforzo non può essere condotto solo dal sistema formativo, ma deve diventare uno impegno congiunto pubblico e privato che coinvolga attori economici e sociali, oltre che istituzioni locali.

        Fondamentale è tuttavia cambiare il paradigma con cui si guarda al mondo della formazione: non più una spesa, ma un investimento. Perché solo investendo per aumentare la partecipazione dei cittadini alle attività economiche ed evitando la segregazione di alcuni segmenti di popolazione dal mondo del lavoro, l’Italia può affrontare le sfide che un mondo in veloce mutamento pone all’economia nazionale.

          Contenuti correlatiVersione integrale della ricerca